Medicina
La musica sostegno di mente e cuore
“Senza la musica per decorarlo, il tempo sarebbe solo una noiosa sequela di scadenze produttive e di date in cui pagare le bollette”. (F. Zappa)
È diffuso il piacere di ascoltare la nostra melodia preferita. Scrivo quest’articolo, che avrei dovuto, in realtà, scrivere tempo fa, non per tessere le lodi della musica, presenza costante nella nostra vita, ma perchè mi assale un ricordo di quando mi sono trovata in un reparto pediatrico di un ospedale francese, dove fui colpita, oltre dalla clownterapia, dalla consistente presenza della musica nei reparti.
Nel mondo anglosassone si parla di “clienti” della musicoterapia, in Italia si è sempre usato il termine “pazienti”, anche se in base alla normativa attuale i musicoterapeuti italiani non possono prendere in carico “pazienti”. Mentre in altri paesi la musicoterapia è una professione sanitaria riconosciuta, alla quale ci si forma con un corso universitario, che comprende una formazione psicologica e musicale approfondita, ma anche un lavoro su se stessi con una psicoterapia e musicoterapia individuale, nel nostro paese, pur lavorando all’interno di istituzioni sociosanitarie, la musicoterapia è considerata una professione intellettuale e non sanitaria.
Sappiamo da tempo che la musica può avere effetti terapeutici: gli antichi greci individuavano un rapporto tra musica e medicina, e nella Bibbia, in particolare nei salmi ci sono riferimenti agli effetti benefici del suono e degli strumenti.
Uno dei primi a promuovere lo studio degli aspetti neurologici dell’esperienza musicale è stato Herbert Von Karajan, che negli anni 70 fondò a Salisburgo un istituto dedicato a questi studi. Spaventato dalla morte di un suo amico durante l’esecuzione di un concerto, il celebre direttore decise di sottoporsi personalmente a un elettrocardiogramma mentre dirigeva un’ouverture di Beethoven, i suoi battiti, nei momenti di emotivamente più intensi arrivavano a 300 pulsazioni.
In genere, però, gli effetti della musica sono benefici: ascoltare musica riduce lo stress, rafforza il sistema immunitario e accorcia i tempi di recupero in caso di malattia o intervento chirurgico, anche grazie al rilascio di dopamina nel sistema striato, in seguito all’emozione suscitata dal piacere dell’ascolto.
I suoni attivano i neurotrasmettitori che agiscono su circuito del piacere, ma anche sul sistema motorio e sui legami affettivi. È la produzione di dopamina a permettere, per esempio, ai parkinsoniani intenzionalità motoria. Inoltre è da considerare l’importanza del ritmo che trasforma l’utente in partecipante e perciò l’esperienza musicale è anche un’esperienza di riaggregazione sociale.
Quando si parla di musicoterapia ci si riferisce in genere alla musica utilizzata all’interno di una relazione di aiuto da un musicoterapeuta formato ed esperto. In generale, la musicoterapia usa la musica – si tratti di ascolto di brani, esecuzione o canto – per facilitare la comunicazione e la relazione con soggetti con disabilità o patologie. L’obiettivo non è la guarigione, ma il miglioramento della qualità della vita attraverso la scoperta o riscoperta di potenzialità espressive e comunicative.
Usata un tempo nella psichiatria e neuropsichiatria infantile, oggi il termine musicoterapia è un termine ombrello che comprende interventi in settori molto diversi: può essere impiegata a scopo preventivo a scuola – dalla prima infanzia all’adolescenza – ma anche con donne in gravidanza e neonati prematuri, o in preparazione ad un intervento chirurgico. È usata nelle carceri o con chi soffre di dipendenze, con pazienti con Alzheimer o Parkinson. Senza dimenticare l’uso della musica in riabilitazione neurologica, con pazienti in stato vegetativo o con afasia, disturbi motori e soggetti autistici.
L’ascolto della musica serve, inoltre, ad entrare in contatto con l’inconscio del paziente. Si può far ascoltare brani musicali legati a determinati momenti dell’esistenza del paziente che possono rispecchiare lo stato emotivo poiché, ascoltando una musica che ha segnato un momento emotivamente importante della propria vita, rievochiamo i nostri sentimenti, e questo può aiutare a far emergere la tonalità affettiva del soggetto e gli permette di entrare in contatto con il proprio sogno d’amore originario.
“Che può assumere connotazioni diverse – spiega Laura Darsié – dalla dimensione solare e illusoria di Mendelsohn, ai toni nostalgici di Schumann, all’affettività sospesa della musica di Debussy”.
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