Medicina
La grande fuga di medici e infermieri: viaggio nella sanità pubblica di Varese
“Gli stipendi sono troppo bassi rispetto alla Svizzera e al resto d’Europa ma le condizioni di lavoro, con ritmi folli, non incentivano i professionisti a restare. Spesso i medici non si sentono tutelati”.
A raccontarcelo è un dirigente medico, stimato a livello internazionale, di un ospedale di Varese che fa capo alla Asst Sette Laghi, quando chiediamo perché diversi suoi colleghi scelgono la vicina Svizzera.
Qualcuno lo chiama il grande esodo dei camici bianchi. Il fenomeno riguarda il paese intero ma c’è un territorio che sembra esserne colpito più di altri, ed è proprio quello della provincia di Varese. A fine dicembre del 2023, il professor Walter Ageno, angiologo apprezzato in tutto il mondo, ha lasciato la direzione del Pronto soccorso dell’ospedale di Circolo, scegliendo di andare a dirigere la Medicina interna dell’ospedale regionale di Bellinzona e Valli, in Svizzera. Seppur Ageno lo avesse difeso pubblicamente, il pronto soccorso di Varese versava in una situazione di sovraffollamento e disorganizzazione preoccupante. Ma il professore non è il solo a preferire la Svizzera all’Italia. I cittadini italiani che lavorano in Svizzera sono 91.307 e la maggior parte sono impiegati in Ticino mentre gli altri, circa dodicimila persone, lavorano nel Grigioni o nel Vallese. Proprio in Ticino una persona su sei è impegnata nel settore sanitario. Sono quasi cinquemila i frontalieri medici e infermieri di nazionalità italiana provenienti dalle province di Varese e Como.
Il perché è presto spiegato, o almeno sembra. In Italia, come ha raccontato Milena Gabanelli in un’inchiesta pubblicata sul Corriere della Sera, un primario di area chirurgica con incarico da oltre venticinque anni guadagna 8.324 euro lordi al mese, per tredici mensilità; un medico con oltre quindici anni d’anzianità 6.449 euro; un medico tra i cinque e i quindici anni d’anzianità 6.088; chi ha meno di cinque anni d’anzianità 4.495. Guardando a chi ha un’esperienza media, tra i cinque e i quindici anni di anzianità, lo stipendio annuo si aggira intorno agli 80mila euro. Lo stipendio di un medico ospedaliero in Canton Ticino invece và da 120 a 150mila franchi con un’esperienza di cinque anni e sale almeno a 200mila franchi con venticinque anni di esperienza. E la situazione degli infermieri è pressoché la stessa. Attualmente, la retribuzione annua di un infermiere oscilla tra i 24.157,28 euro e i 32.081,46 euro lordi, con variazioni a seconda dell’esperienza e dei compiti svolti nel presidio sanitario (ambulatorio, sala operatoria, terapia intensiva, ecc). Lo stipendio di un infermiere nel servizio pubblico svizzero oscilla, a seconda dall’anzianità, tra i 66 mila e i 95 mila franchi. Mentre nel privato si attesta sui circa 72 mila franchi. Cambio permettendo, bisogna aggiungere sempre circa duemila euro.
La salute del sistema sanitario nazionale, inoltre, continua a peggiorare. Dal 2020 al 2022 sono stati tagliati 32.500 posti letto. Complessivamente mancano almeno centomila posti letto di degenza ordinaria e dodicimila di terapia intensiva. In dieci anni sono stati chiusi novantacinque nosocomi. Fra il 2019 e il 2022, inoltre, oltre undicimila medici hanno lasciato le strutture pubbliche. E le risorse sono sempre meno. Nel 2024, il finanziamento del Fondo sanitario è aumentato in termini assoluti rispetto al 2021 ma è diminuito rispetto al Pil ed è fortemente eroso dall’inflazione.
“Entro il 2025 – afferma il coordinatore Fossc Francesco Cognetti – andranno in pensione ventinovemila camici bianchi e ventunomila infermieri, senza un sufficiente inserimento di nuovi professionisti, e sempre più giovani, formati a spese dello Stato (circa centocinquantamila euro per ognuno) vanno all’estero, dove ricevono stipendi anche tre volte superiori”. La denuncia è arrivata proprio dal Forum delle settantacinque società scientifiche dei clinici ospedalieri e universitari italiani (Fossc) che, in una conferenza stampa nella sede della rappresentanza in Italia del Parlamento e della Commissione Europea, in questi giorni, hanno lanciato un appello al governo chiedendo una riforma strutturale e misure urgenti per salvare il sistema sanitario nazionale universalistico.
La Svizzera, per i territori di confine, è sempre stata attrattiva. Eppure, i soldi non sono certamente l’unica ragione che spinge camici bianchi e azzurri ad abbandonare gli ospedali pubblici dell’Asst Sette Laghi, articolata in tre presidi – Varese, Tradate e Verbano – per un totale di sette ospedali. Nelle settimane precedenti alla notizia delle dimissioni del professor Ageno, l’azienda ospedaliera aveva perso altri tre medici, stavolta con destinazione Asst Lariana. Andrea Maresca, direttore della Scuola di specializzazione in Geriatria dell’università dell’Insubria, a Como oggi dirige la struttura complessa di Geriatria, Cesare Garberi dirige la struttura semplice di Medicina legale e Mario Picozzi è a capo della struttura semplice di Bioetica clinica. Sergio Ferraro, ortopedico e traumatologo è andato invece a dirigere la Struttura Complessa Ortopedia e Traumatologia di Sanremo.
“Cosa vuoi che ti dica?! Fanno bene”, racconta il dirigente medico che lavora in un ospedale di Varese. “Siamo pagati meno di tutti gli altri, lavoriamo in condizioni assurde, senza vedere riconosciuta la nostra professionalità. La carenza di organico costringe il personale sanitario a turni massacranti, con i notturni spesso consecutivi. I medici non si sentono tutelati, neppure quando i pazienti li denunciano senza giusta causa e le denunce non sono poche. In Italia c’è una visione distorta del lavoro dei medici, siamo professionisti, al servizio della salute delle persone ma professionisti, non preti o santoni”.
“È vero che siamo pagati poco ma poi sta anche a noi professionisti crearci l’ambiente migliore per lavorare e crescere insieme al nostro team, al nostro reparto. Io so quando timbro la mattina ma mai quando timbro la sera ma sono in pace, perché seguo i miei pazienti ed è quel che ho scelto”, spiega un altro dirigente medico ma dell’Ospedale di Circolo. “Il problema non è solo la migrazione per ragioni economiche ma il fatto che la mancanza di organico crea un deficit, una riduzione della risposta al bisogno di salute. Abbiamo una sala operatoria chiusa perché mancano infermieri di sala. È stato aperto un bando per reclutare cento infermieri ma non basterà. Quanto ai medici, mancano anche perché troppi non scelgono più le specialità che non permettono di esercitare tanta libera professione, oppure quelle che sono più rischiose, come anestesia e chirurgia generale”.
L’ultimo concorso per cento infermieri all’Ospedale di Circolo ha permesso di assumere solo novantacinque persone, di cui cinquantuno nuove assunzioni e le restanti stabilizzazioni di personale già in servizio. A novembre sono arrivati dodici giovani infermieri professionali dall’Argentina e dal Paraguay, ma certamente non sono sufficienti.
Il dodici aprile, a causa della scadenza del contratto con una cooperativa di infermieri, quattordici letti di medicina del terzo piano ala ovest dell’ospedale di Circolo sono stati chiusi. I pazienti sono stati trasferiti in altri reparti. I posti letto erano stati aperti a gennaio per aiutare il pronto soccorso durante l’epidemia influenzale. Una volta che l’Asst Sette Laghi avrà assegnato il nuovo bando per la cooperativa di infermieri verranno riattivati. Peraltro, alcuni posti letto del monoblocco vengono utilizzati per attività ad alto contenuto specialistico. È una cosa importantissima e un vanto per l’azienda ma questo crea un cortocircuito, peggiora la situazione essendoci un deficit di posti. Dove dovrebbero andare le persone che stanno male se non al pronto soccorso? A maggio inizieranno i lavori, per circa 80mila euro, finalizzati ad una riorganizzazione degli spazi interni per migliorare il comfort dei pazienti in osservazione o in attesa di ricovero. Il Circolo è pensato come un ospedale Hub.
L’Asst Sette Laghi ad oggi non concede nemmeno i part time a chi li richiede. La legge prevede che fino al 25 per cento di certe figure professionali può richiederlo ma l’azienda non lo concede perché non ha personale per garantire i servizi. La percentuale è infatti intorno al 17 per cento. La Regione Lombardia spinge per mantenere comunque certi livelli di assistenza e i reparti tutti aperti a prescindere dal numero di personale presente.
“Le condizioni di lavoro sono peggiorate tantissimo negli ultimi anni, non solo per la carenza di organico ma anche per una cattiva organizzazione dell’azienda ospedaliera – dice Gabriella Sierchio, segretaria generale Funzione Pubblica CGIL di Varese – . Ci è appena arrivata un’informativa che in uno dei reparti dell’Ospedale di Circolo incominceranno a fare i turni di dodici ore. Apparentemente lavori tre giorni alla settimana e assolvi il tuo debito orario ma poi gli altri tre giorni sei a disposizione dell’azienda per coprire i vari buchi incentivandoti a fare ore aggiuntive per guadagnare un pochino in più. Ci sono persone che fanno due turni di dodici ore attaccati. Il fisico e la mente alla fine cedono, non è pensabile di fare ad oltranza quarantacinque ore di lavoro settimanali. E siamo a questi livelli. In molti casi noi veniamo visti come la controparte ma non è così perchè abbiamo lo stesso obiettivo, quello di far funzionare meglio la macchina pubblica e di far star bene i lavoratori. Questo dovrebbe essere l’obiettivo dell’azienda ed è sicuramente il nostro”.
Intanto, è di questi giorni, la denuncia della presidente della Fondazione Il Ponte del Sorriso Emanuela Crivellaro, sulle pagine del quotidiano locale Varese News, circa la situazione della pediatria dell’ospedale di Tradate, uno dei sette ospedali della Sette Laghi. A oltre un mese dall’inaugurazione del reparto rimesso a nuovo con un impegno economico di 2,3 milioni di euro, la presidente denuncia che “la mancanza di pediatri era già evidente negli ultimi anni, con il personale costretto a turni pesanti, senza regolari riposi e programmazione delle ferie. Alla fine, anche i pochi medici in organico hanno gettato la spugna, per l’impossibilità di continuare a lavorare in queste condizioni massacranti e insostenibili. Sono solo tre le dottoresse a turnare, più il primario, quando ce ne vorrebbero almeno sei più il primario, per garantire l’assistenza sanitaria sia in Pediatria che al Punto Nascita”. L’azienda ospedaliera smentisce le difficoltà ma nel frattempo due delle tre dottoresse hanno dato le dimissioni.
“La Svizzera esiste dal 1848, quando c’era la lira era ancora più conveniente. Eppure questo fenomeno non c’era. La carenza di personale in certe figure sanitarie c’è sempre stata. Allora il problema qual è alla Sette Laghi? Rispetto ad altre aziende, in relazione alla fuga del personale è quella messa peggio, ed è così perché l’organizzazione attuale di quell’azienda dal punto di vista umano è inumana. Non c’è certezza di niente, chi entra lì sa quando entra ma non sa quando esce. E questa cosa è intollerabile per chiunque. Non si può pretendere che le persone per una vita in nome di un presunto valore morale, cioè la tutela del paziente, si mettano in una condizione di lavoro così. Qualsiasi forma di conciliazione vita lavoro oggi è impossibile”, racconta Sergio Iomazzo, componente della segreteria Funzione Pubblica CGIL di Varese.
Il problema economico o la carenza di personale sembrano quindi essere diventate scuse autoassolutorie per non affrontare il problema organizzativo. “Il vecchio direttore generale aveva sperimentato forme di lavoro che lui definiva elastiche, che andavano bene per una fase emergenziale come quella della pandemia, del Covid, solo che oggi sono rimaste. Le persone sono diventate degli orpelli al binario sanitario. L’azienda chiama le attività sanitarie linee produttive. E poi c’è l’idea dello skill mix, la tendenza di spostare il personale da un reparto, da un posto all’altro come se tutti gli infermieri, per esempio, avessero lo stesso tipo di competenze. Manca anche il riconoscimento delle capacità professionali. In alcuni settori però, ai coordinatori sanitari hanno inculcato una sorta di spirito di appartenenza quasi come se fossero un corpo separato. E poi c’è l’utilizzo del provvedimento disciplinare massivo. Se guardo i procedimenti disciplinari che ho seguito a livello sindacale, prima si trattava di questioni abbastanza singolari, erano veramente gravi, adesso invece si finisce davanti all’ufficio per i provvedimenti disciplinari anche per delle sciocchezze e questo secondo me spiega diverse cose. E oggi le persone hanno la reazione di andarsene”.
I dati della CGIL dicono che i nuovi assunti a Varese resistono tre anni e poi scappano. Ma né su questo né su altre questioni concernenti la politica del personale l’Asst Sette Laghi ha ritenuto di rispondere alle nostre domande.
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Foto di copertina, Padeglione Centrale, entrata Viale Borri, Ospedale di Circolo di Varese, Francesca Mandelli
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