Medicina

I lobbisti italiani al servizio della Philip Morris

1 Luglio 2015

I più acerrimi nemici da tenere sotto controllo? Umberto Veronesi e Girolamo Sirchia, naturalmente, i due ministri della Sanità italiana, entrambi medici ed entrambi acerrimi nemici del fumo.

E’ una vera miniera di informazioni e sorprese il sito www.pmdocs.com: un archivio con 32 milioni di pagine di documenti desecretati dalla multinazionale del tabacco Philip Morris.

Il sito è stato istituito nel 1998 per decreto di un  Tribunale del Minnesota, grazie al paragrafo IV dell’Attorneys General Master Settlement Agrement, siglato in seguito al processo che ha visto dietro il banco degli imputati la Philip Morris contro le compagnie assicurative Blue Cross e Blue Schield, che chiedevano il risarcimento del denaro speso in cure mediche dai fumatori.

Ricerche, investimenti, contratti, rapporti con la politica, con il mondo scientifico e dei mass media di tutto il pianeta. Non esclusa l’Italia, ovviamente.

Partiti , sindacati, medici,esperti di pubbliche relazioni: tutti al servizio della multinazionale. Insieme a giornalisti.

E’ Toni Muzi Falconi, fondatore della Scr e associati, società di relazioni pubbliche, alle 12,46 del 29 giugno 1981, a informare il quartiere generale della multinazionale della nascita del governo Spadolini: poche righe, la composizione del nuovo esecutivo, l’annuncio del la nomina a ministro della Sanità di Renato Altissimo,  “favorevole alla parziale liberalizzazione per la pubblicità della sigarette”.

Oggi Toni Muzi Falconi è senior advisor della Methodos, ma nel suo curriculum riportato sul sito della società di consulenza di direzione, non c’è menzione del suo lavoro per la Philip Morris.

Solo il 12 agosto 2000 dopo un articolo comparso sul Manifesto dichiarerà a Radio Capital: ”Non solo confermo la notizia comparsa sul Manifesto, ma la moltiplico. Il budget a mia disposizione era infinitamente più alto. La mia era una società privata con dei suoi obiettivi”.

Per il professionista delle Pr quindi ”non c’e’ nessun mistero: La Philip Morris è la società in assoluto nel mondo che spende di più per eventi culturali, gran premi e altro”. L’ex consulente ricordava nella stessa intervista di aver ricevuto ”tantissime telefonate da personaggi che volevano andare al gran premio di Monza, piuttosto che a quello di Budapest e li dirottavo tutti sulla Philip Morris. C’era una vera e propria corsa, a partire da quelli che oggi criminalizzano le multinazionali del tabacco”.

Nel documento “strettamente confidenziale”, numero 2500102177 inviato a David Greenberg dalla filiale italiana della Philips Morris il 24 agosto 1992, dove vengono definiti gli obiettivi di business per l’anno seguente, Muzi Falconi viene così referenziato: “Toni lavora per noi da più di diciassette anni ed è l’amministratore della Scr che amministra lo Zurich club”.

Ed è proprio allo Zurich club che sarà destinato un budget complessivo di 2 miliardi e 760 milioni di lire, da “allocarsi nella seguente maniera: il 20 % diviso in parti uguali tra i cinque membri, il restante 80% per le  diverse spese, tra le quali 250 milioni di lire saranno destinati a viaggi per politici e giornalisti”.

Nel libro paga della Phillip Morris compare quell’anno anche la “freelance” Vittoria Gervaso, moglie di Roberto e madre di Veronica, attuale volto del Tg5.

Vittoria Gervaso, si legge, ha un contratto da tre anni e la multinazionale del tabacco fa leva anche sul marito, “uno scrittore e giornalista molto conosciuto”.

Il compito di lady Gervaso? “Organizzare cene incontri e viaggi per esponenti politici” in compagnia del management della Philip Morris. Budget a sua disposizione, 210 milioni di lire, di cui 30 per le spese, le altre di onorario. Il fondo a lei destinato, però, è stranamente iscritto nel budget della filiale belga. E, ovviamente, benefits.

Premi di cui la signora aveva già usufruito, come il viaggio-soggiorno negli Usa nella primavera 1991, ospite tutta la famiglia Gervaso insieme a un’altra ventina di persone tra cui la “pasionaria” craxiana Alma Agata Capiello e Marina Belli, indicata nel documento come la figlia adottiva di Andreotti.

L’intero costo dell’operazione politica mass-mediatica della Philip Morris per i primissimi anni ’90 è di 150 miliardi di lire, con lo scopo dichiarato di “aumentare la nostra rete di contatti politici e promuovere la PM come una compagnia impiegata socialmente: sponsorizzazione di mostre, eventi culturali e finanche convegni scientifici sull’ambiente“.

Il 1993 rappresentava per la PM un anno di forte investimento sul fronte politico “per guadagnare uno spazio favorevole ai nostri affari” (doc. n° 250102177), cioè ancora contatti: il primo ministro contattato sei volte tra Roma e Genova; 13 ministri, 8 vice ministri, 3 direttori dei più importanti giornali politici, 20 parlamentari, 3 leader di partiti e ancora staff di uomini di potere, portaborse.

Lo scopo? In via confidenziale  “sviluppare gruppi favorevoli al fumo nelle principali città italiane”. Per Big Tobacco c’è un problema: 11 proposte di legge non ancora approvate  e  che non saranno mai approvate fino al 2000, con Veronesi prima e Sirchia poi. Nel frattempo comincia a crescere un forte movimento anti-fumo.

“Contro questo aspetto”, si legge nel documento, “dobbiamo concentrare tutti i nostri sforzi”. Come? Per esempio, “sono state rinsaldate alleanze con le organizzazioni sindacali Cgil, Cisl, Uil, con la Confindustria e con la Fipe (la federazione degli esercenti dei locali pubblici)”, che, guarda caso ha minacciato di ricorrere fino al più alto grado di giudizio contro l’entrata in vigore della legge Sirchia  (2003).

Per la sua attività di lobbing la Philip Morris ha bisogno anche di un livello medico, qualcuno che getti discredito  sulle ricerche antifumo.  Soprattutto quelle dello  IARC  (Agenzia Internazionale sulla Ricerca sul Cancro) di Lione sulla cangerogenicità del fumo passivo.

Bisognava allora  “influenzare la formulazione delle conclusioni e la comunicazione ufficiale dei risultati; pubblicare il più tardi possibile le conclusioni dello studio; contrapporsi al potenziale impatto della studio sulle politiche dei governi sull’opinione pubblica sulle azioni degli imprenditori privati e sui proprietari dei locali pubblici”.

E per far questo PM non ha badato a spese: se sulla ricerca lo IARC ha investito un budget tra 1,5 e 3 milioni di dollari USA in dieci anni (1988-1998), i magnati del tabacco hanno speso la stessa cifra solo nel 1993 e il doppio nell’anno successivo. Tra i beneficiari le agenzie di pubbliche relazioni Burson Marsteller e l’italiana SCR Associati, fra i giornali il Sunday Telegraph di Londra e una miriade di ricercatori italiani e stranieri.

Il progetto fu battezzato  “Whitecoat”, camice bianco. Delegazioni di esperti al soldo della task force del tabacco partivano alla volta di Lione proponendo incontri con i responsabili della ricerca, riferendo quindi alla casa madre, pronta a sua volta a sfornare comunicati stampa di segno opposto.

La gola profonda italiana fu il professor Giuseppe Lojacono, ex docente di economia sanitaria all’università di Perugia e consulente della Scr. Lojacono visitò  più volte lo IARC nel suo ruolo di Direttore Responsabile, dal 1977 al 1999, della Rivista Epidemiologia & Prevenzione (E & P), organo ufficiale della Società Scientifica Italiana di Epidemiologia, agendo in incognito nel mondo scientifico italiano ed europeo, senza mai dichiarare questa sua attività e affiliazione all’industria del tabacco.

E’  stata la stessa Rivista E &P che con molto coraggio  ha rivelato al grosso pubblico sanitario italiano l’affaire Lojacono-Philip Morris.

Lojacono, morto nel 1999, per 10 anni, dal 1988 al 1998 aveva partecipato a convegni, tenendo d’occhio la produzione scientifica italiana e  raccogliendo informazioni che puntualmente inviava, tramite la SRC, alla PM.

Lojacono relazionava sulle inclinazioni della Comunità scientifica italiana e dell’opinione pubblica sul fumo. Nei suoi report si sottolinea la propensione degli epidemiologi nostrani ad occuparsi di fattori di rischio presenti nei luoghi di lavoro, nell’ambiente urbano e nei cibi, concludendo che in virtù di questa vocazione “la comunità scientifica italiana, o almeno una parte di essa (…) ha già dato e può continuare a dare contributi rilevanti al ridimensionamento del problema fumo passivo sulla coscienza nazionale” (doc. n° 2501356124).

E suggeriva le strategie da utilizzare per deviare l’attenzione dei ricercatori e del pubblico dalla nocività del fumo passivo, oggetto della ricerca IARC: “Ridimensionare il ruolo e il peso del fumo passivo come fattore di rischio” è la proposta rilanciata in più documenti, “immettendo nel gran calderone più generale della Indoor Air quality (ottobre 1990 – doc. n° 2028350107-13).

@antoniomurzio

 

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