Medicina
Ho due compleanni grazie alla ricerca: donate per la ricerca contro il cancro
“Tutto quello che non è autobiografico è plagio”
P. Amodovar
Sono nato due volte, la prima alla Mangiagalli nel 1966, la seconda all’Istituto dei tumori di Milano il 18 aprile 2006, ovvero la data in cui ho fatto il trapianto di midollo osseo da donatore non consanguineo per curare il mieloma multiplo. Sono trascorsi dodici anni e sono qui.
Quel giorno, grazie alla ricerca, mi hanno ha salvato la vita.
La data di nascita è segnata sulla mia carta di identità e in tutti i documenti che compilo, così al mio compleanno anagrafico mi arrivano gli auguri delle carte fedeltà, del supermercato, della banca e anche il doodle è personalizzato.
La seconda invece è scritta solo sui referti dell’ospedale e tatuata nel mio cervello..
La prima è una convenzione, la seconda è quella che mi ha permesso di poter vedere crescere mio figlio, di accompagnarlo a scuola e di provare a vivere in pace e salute (elementi dati troppo spesso per scontati).
Di vedere le differenze tra chi si è dannato per salvarmi (e mi vuole bene) e gli ominicchi che ognuno di noi incontra tutti i giorni.
Ogni anno il 18 aprile, festeggio, non conosco chi mi ha donato il midollo ma naturalmente è sempre nei miei pensieri insieme ai dottori, al personale di dove mi curano.
E’ inevitabile ripercorrere tutti gli anni passati, ripensare ai volti coloro che ho incontrato e ho rivisto e a quelli che invece non ce l’hanno fatta. Dopo il trapianto si comincia contando le ore, poi i giorni per arrivare al fatidico giorno cento, quello in cui si comincia ad allentare la tensione. Poi si contano le settimane, i mesi e i più fortunati gli anni.
La notizia della malattia, più che una secchiata di acqua gelata (roba da social network), è un waterboarding (roba da tortura); la sensazione è quella di affogare, di non avere punti di riferimento. Ci si sente persi, perché quella che si prova è una sensazione nuova e sconosciuta. Bisogna ripensare se stessi e prendere atto delle proprie debolezze, fragilità, inquietudini, allo stesso tempo proviamo a reagire a cercare una guida che possa tirarci fuori.
Si entra in una dimensione parallela fatta di cure e di speranza, ma a volte, anche, di diagnosi dure e sfortunate (infauste come viene detto).
Le donazioni aiutano la ricerca ad aumentare le speranze, a ridurre il peso della fortuna (che esiste, eccome), ad avvicinare alle cure chi arriva da lontano.
Donare significa dare senza avere nulla in cambio, donare per la ricerca contro il cancro invece non solo aiuta chi sta combattendo ma aiuta tutti. Tutti sono infatti vulnerabili. Il cancro colpisce in modo molto democratico, sono le cure e le possibilità di averle che fanno la differenza.
Parlare esplicitamente di cancro, di neoplasia, di tumore fa ancora paura, le persone preferiscono dei sinonimi più morbidi, che tocchino meno la sensibilità.
Non sono d’accordo, il male va chiamato con il suo nome, anche per rispetto nei confronti di chi lo sta curando, di chi lo sta combattendo o di chi non ce l’ha fatta.
Chi si cura è un guerriero pacifico e coraggioso, i bambini sono guerrieri, gli uomini e le donne sono guerrieri, gli anziani sono guerrieri, i pazienti sono guerrieri e i medici eroi (come diceva il grande oncologo Gianni Bonadonna nel libro di Giangiacomo Schiavi) che meritano di essere trattati con realtà e dignità. Si deve imparare a conoscere il proprio nemico (e chiamarlo con il suo nome è un buon punto di partenza), per sconfiggerlo. Si inizia a lottare e si va avanti senza sapere come finirà, è un atto di fede verso noi stessi.
Sono stato fortunato, anche se resto ancora un paziente (faccio i controlli regolarmente) e gli strascichi mentali sono indelebili. Tuttavia mi rendo conto di quanto sia importante diffondere “il verbo” della ricerca. Tutti, sottolineo tutti, vogliono uscirne, curarsi e guarire. E Sono sempre di più coloro che ci riescono, ma c’è anche chi non ci riesce. Non bisogna dimenticarlo.
Sono tutti fratelli quelli che combattono e meritano che ci sia qualcuno che si schieri al loro fianco per far progredire le cure e la ricerca.
Chi, purtroppo, ha provato certe esperienze, sa di cosa parlo.
Come sempre, ma ancora di più in questo periodo in cui ci viene richiesto il 5X1000, mi sento, non di dare un consiglio ma di ingiungere di donare per la ricerca contro il cancro.
La cosa da fare è semplicissima: Donare, donare, donare. Perché come disse Steve Jobs “No one wants to die. Even people who want to go to heaven don’t want to die to get there.” nel famoso discorso agli studenti di Stanford (quello di stay foolish, stay hungry). E la ricerca può aiutare sempre più gente a restare sulla terra e in salute.
foto di Andrea Cherchi
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