Medicina

Hai il cancro? Tre anni per i farmaci innovativi. E chi sopravvive è invisibile

14 Maggio 2015

Ci voleva il Censis per dire che i farmaci oncologici innovativi non sono disponibili per i malati di cancro. Circa tre anni, 1070 giorni di attesa, una eternità. Il dato choccante, ora comprovato da una ricerca ufficiale, è stato presentato oggi durante la giornata del malato oncologico.

“In particolare sono richiesti 400 giorni per l’approvazione da parte dell’agenzia regolatoria europea (EMA, comprensivi di “clock-stop”) e circa 570 per quella nazionale dell’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco). L’ostacolo ulteriore è costituito dalla terza fase, regionale, che prevede l’inserimento del farmaco nel Prontuario Terapeutico Ospedaliero Regionale (PTOR). Con molte differenze sul territorio: in media servono 100 giorni, ma si passa da un massimo di 170 in Calabria a un minimo di 40 in Umbria”

E’ quanto si legge nell’indagine promossa da AIOM (Associazione Italiana di Oncologica Medica), FAVO (Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia), e Fondazione Censis, contenuta nel VII Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici, presentato al Senato.

L’indagine è stata condotta a livello nazionale e in un campione di 10 Regioni (Abruzzo, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Sicilia, Toscana, Umbria e Veneto), e ha preso in considerazione  16 nuovi  farmaci oncologici  che hanno completato l’iter di autorizzazione negli ultimi due anni e che sono ora disponibili in commercio.

“Il farmaco – spiega Carla Collicelli del Censis – prima di essere disponibile nelle farmacie ospedaliere (e quindi per i pazienti), deve completare un’ulteriore trafila, che non solo varia da Regione a Regione, ma anche tra un’Azienda ospedaliera e l’altra all’interno della stessa Regione. In pratica, una Commissione territoriale, pur non potendo inserire nel proprio Prontuario un farmaco non autorizzato dall’AIFA, può però escluderlo. Analogamente, un Prontuario Terapeutico Ospedaliero (PTO) non può contenere un farmaco non inserito nel rispettivo Prontuario Terapeutico Ospedaliero Regionale (PTOR), ma può escluderlo dalla lista delle terapie disponibili. Pertanto il lavoro svolto dalle Commissioni regionali, locali e aziendali può portare, e spesso porta, ad un razionamento dei trattamenti effettivamente disponibili per i cittadini, determinando disparità sul territorio e negando il diritto di tutti i malati di avere accesso ai nuovi farmaci autorizzati in tempo utile. Si tratta potenzialmente di una forma occulta di razionamento, poco conosciuta e monitorata, che crea disuguaglianze territoriali e penalizza alcune fasce di cittadini. Ciò comporta tanti diversi servizi sanitari regionali con l’ovvia conseguenza che il trattamento terapeutico ottimale dipende purtroppo dal luogo di residenza”.

L’associazione dei malati oncologici fa un’altra richiesta: inserire la riabilitazione oncologica nei livelli essenziali di assistenza.  Coloro che convivono per lungo tempo conuna malattia oncologica o che ne sono guariti – cresciuti di numero in cinque anni del 20 percento – sono infatti abbandonati dall’assistenza pubblica: sono i familiari che devono provvedere a proprie spese per i loro bisogni. Praticamente una beffa: si riesce a vivere di più convivendo con il tumore, ma si vive male.

Qualche dato per capire :  nel 2010 erano 2.587.347 gli italiani vivi dopo una diagnosi di tumore, il 4,4% della popolazione. I pazienti guariti, con un’attesa di vita paragonabile a quella delle persone non colpite da tumore, erano 704.648, pari al 27% di tutti i pazienti (20% uomini e 33% donne) e all’1,2% degli italiani. Nel 2015 sono circa 3 milioni (3.036.741) le persone vive dopo una diagnosi oncologica (4,9% degli italiani) con un incremento, rispetto al 2010, del 17%.

La battaglia secondo Francesco De Lorenzo, presidente della Favo (la Federazione degli ammalati) è sociale: “Non sappiamo se queste persone effettivamente conducano una vita normale. Sorgono quindi una serie di interrogativi sulla condizione in cui versano coloro che hanno sconfitto il cancro, domande che toccano gli aspetti  sanitario, sociale ed economico. Oggi è possibile avviare una battaglia politica non solo nazionale, ma anche europea, per abbattere le barriere che impediscono alle persone guarite di avvalersi dei loro innegabili diritti socio sanitari ed economici, finora negati, a cominciare dall’accesso a mutui, assicurazioni sanitarie e servizi finanziari”.

Nel 2014 i tumori sono stati sia la principale causa di riconoscimento  dell’assegno ordinario di invalidità che della pensione di inabilità.

La tendenza è in crescita:.“Il Servizio Sanitario Nazionale – sottolinea il Carmine Pinto, presidente nazionale AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) – trascura sia la fase di riabilitazione post-trattamento acuto sia quella che segue alla remissione totale, argomentando, in maniera inaccettabile, che la riabilitazione oncologica è ricompresa nelle tipologie desunte dall’‘International Classification of Functioning, Disability and Health’ (ICF) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità”.

La riabilitazione oncologica oggi, come ha stabilito la Conferenza Stato- Regioni, è inclusa nella voce “altre patologie riabilitative”  assieme a patologie articolari, cardio-circolatorie, del linguaggio, dell’apparato digerente, urinarie, mentali e dell’autonomia comportamentale. Eppure il malato che è uscito dal ciclo di chemioterapia, dall’operazione chirurgica, che ha visto la propria vita rivoluzionata in pochi mesi, ha bisogno di una assistenza globale: sociale, psicologica, nutrizionale, lavorativa.

 

“La sfida del volontariato oncologico – afferma ancora De Lorenzo – è portare all’attenzione del Servizio Sanitario Nazionale anche la fascia di popolazione costituita dalle persone guarite dal cancro, oggi del tutto trascurata, attraverso l’istituzione di un programma di sorveglianza clinica per la prevenzione terziaria (possibili secondi tumori e comparsa di effetti collaterali tardivi a seguito di chemioterapie, radioterapie e uso di farmaci con forti effetti secondari). Le conseguenze della malattia possono lasciare tracce psicologiche profonde che condizionano le relazioni interpersonali e lo stato di benessere generale, con conseguente difficile reintegro sociale e lavorativo”.

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