Medicina

GRAFENE, quella rivoluzione imminente dal 2003

4 Novembre 2014

Data la crescente quantità di rumours che dal 2003  ad oggi suggeriscono l’imminente inizio della produzione di dispositivi e circuiti integrati in Grafene  e dato che , a quanto pare, dovrebbero sostituire quelli in Silicio per aprire a scenari di pura fantascienza, ho pensato che fosse opportuno proporvi alcune considerazioni. Vorrei anche io, a mio modo, condividere il giustificato entusiasmo per una tecnologia così promettente e rivoluzionaria. Per farlo, credo sia utile richiamare, con qualche precisazione, alcuni dei concetti  sintetizzati nel mio precedente intervento. 

1. Lo “scaling” del silicio ha quasi raggiunto il suo limite fisico, pertanto, al solo fine di insistere, sarebbe ora di cercare nuovi e migliori materiali. Perché è chiaro che se nessuno ci ha mai pensato prima è stato solo per pigrizia.

2. La tecnologia microelettronica (del Silicio e simili) è matura e pronta ad invadere settori finora soltanto contaminati (sanità, trasporti, edilizia…) . Ma matura è sinonimo di vecchia, e sbaglio, o “vecchia” è una parola che stona quando si parla di innovazione?

3. Le grandi compagnie di semiconduttori stanno investendo nella ricerca di novità tecnologiche. Ad un’unica condizione,  che suonino futuristiche e promettano prestazioni finora mai conosciute.

Da anni ormai, multinazionali, università ed enti di ricerca finanziano la ricerca di tecnologie supplementari, complementari o alternative a quella del Silicio per la produzione di dispositivi e microchip su larga scala.  Tra queste, appunto, c’è quella del Grafene.

Per descriverlo in modo semplice, il Grafene è un materiale;  ma  la definizione più  trendy è “nanomateriale” .  Si tratta di un sottile strato di atomi di Carbonio disposti in piano. Uno strato, dunque, spesso quanto un solo atomo e con una trama (cella) esagonale.Il più sottile materiale che l’uomo conosca. Certamente ne avrete sentito parlare e per questo eviterò di ripetere molte cose.

Del resto se cercaste “graphene” su Google trovereste molto, mentre  trovereste poco sul Silicio (che noia). Se vi fermaste ai titoli, scoprireste che il Grafene lo batterà presto sia per costi che per prestazioni. Tuttavia scoprireste anche che lo Stanene batte il Grafene, e che il Germanene batte a sua volta lo Stanene ma non il Grafene. Carta, sasso, forbice. Insomma c’è molta competizione, e il tifo è forte. Per fortuna chi si occupa di tecnologia e divulgazione cerca di fare ordine e,  per quanto possibile, di dire le cose come stanno e cioè, stando ai titoli, di tifare per il Grafene. Tralasciamo quindi Stanene e Germanene, che verranno certamente usati nel 3000, per  concentrarci sul grande protagonista del momento.

E’ stato dimostrato che il Grafene è un miglior conduttore di elettroni rispetto al Silicio. Questo, in teoria, significa che il Grafene, sia grazie  alle sue proprietà fisiche che alla possibilità di realizzarvi strutture di pochi nanometri, potrebbe essere un substrato adatto al progetto di circuiti più piccoli e più veloci. Inoltre, conserva buone proprietà elettrofisiche fino a temperature maggiori rispetto a quelle del Silicio (oltre 130°C contro i miseri 80°-100°C dei circuiti in Silicio) dimostrando persino una notevole flessibilità meccanica. Sembrerebbe dunque che presto trasferiremo dati a velocità di molto superiori a quelle attuali, che potremo arrotolare al polso i nostri smartphone come fossero braccialetti e scattare foto subacquee mentre nuotiamo nella pozza di un geyser. Al posto delle tavole, gli studenti di architettura o della NABA potranno mettere nel tubo a tracolla direttamente il monitor touch screen sul quale farle vedere e  invece che comprare vestiti con colori e trame differenti, basterà caricare .bmp via USB sul nostro wearable display per ottenere il look desiderato.

Se poi considerate che che il Carbonio (di cui è fatto il Grafene) è in termini di massa il materiale più presente nel corpo umano e nell’universo in generale, il gioco è fatto. Fa niente se lo si trova spesso in forme molecolari diverse e difficilmente riconvertibili. Il Silicio invece, è solo il secondo elemento più abbondante, dopo l’ossigeno, e solo nella crosta terrestre. Che da quest’ultima sia più semplice estrarlo è un dettaglio trascurabile che di certo non rende il Silicio più interessante di com’è.

Quante possibilità apre e quante cose dimostra il Grafene. Il fatto che non abbia ancora dimostrato le sue proprietà di semiconduttore, non deve preoccupare. Del resto il Grafene non è un semiconduttore, ma non si può esigere che lo sia.  Non lo è perché manca di quella proprietà fondamentale di ogni materiale semiconduttore, cioè la presenza di una configurazione energetica in cui gli elettroni degli atomi che compongono il materiale non possono trovarsi e che divide due confini energetici nei quali rispettivamente gli elettroni si trovano liberi di fluire oppure vincolati. Si chiama banda proibita o “band gap”. Il Silicio ad esempio ce l’ha ed è ciò che rende possibile il controllo del flusso di corrente nei comuni dispositivi elettronici. I transistor, ad esempio. Con opportune tecniche (piuttosto facili da attuare) si può infatti influenzare l’energia degli elettroni per renderne disponibile una certa quantità alla conduzione di corrente.  Lo si può fare perchè alterando la loro energia è possibile metterli nelle condizioni di attraversare il gap, passando dallo stato energetico in cui sono liberi di fluire, a quello in cui sono vincolati e viceversa. Una caratteristica imprescindibile per realizzare circuiti digitali.

Beninteso, questo è un banale dettaglio al quale i più reazionari e avversi al progresso si aggrappano sistematicamente per sostenere la tesi secondo la quale il Grafene non sia adatto alla grande industria dei semiconduttori. Per fortuna negli ambienti di ricerca si prosegue l’indagine di tecniche di utilizzo alternative e che esistono istituzioni, anche nel nostro paese, capaci di proporre punti di vista più rassicuranti ed aperti al progresso: “il Grafene è l’unico semiconduttore con banda proibita nulla” (fonte ENEA). Un concetto intuitivo, un po’ come quello di motore immobile.

Bene, allora mentre stiamo fermi ad aspettare questa rivoluzione, magari gustando una granita bollente, potremmo cercare di distrarci esaminando una serie di applicazioni per le quali il Grafene pare sia davvero prossimo all’impiego.  Ad esempio quelle nel campo biomedicale dove, a tal proposito, ne è stata recentemente confermata una certa tossicità.

 

 

IRONIE A PARTE, è comprensibile che istituzioni ed organi di divulgazione scientifica preferiscano cavalcare, piuttosto che soffocare, gli entusiasmi derivanti dalle più recenti scoperte relative alle tecnologie emergenti. Il Grafene è una di queste e molti si augurano che gli investimenti dedicati allo sviluppo delle sue potenziali applicazioni vadano a buon fine. Ce ne saranno alcune e certamente in questa rubrica ne parleremo.

Samsung e IBM, ad esempio, hanno recentemente presentato alcuni risultati interessanti. La prima ha messo a punto (a partire da wafer di Silicio) un processo di fabbricazione compatibile con la produzione industriale di Grafene ad alta qualità per la realizzazione di integrati. IBM, invece, ha direttamente realizzato il primo microchip funzionante in Grafene per applicazioni wireless ad altissima frequenza. Si tratta di successi incoraggianti,  la produzione tuttavia resta molto costosa e le potenziali applicazioni sono ancora piuttosto limitate e di discutibile impatto economico.

Il punto è che dal 2003, quando il Grafene fu sintetizzato per la prima volta in laboratorio e si iniziò a valutare concretamente l’ipotesi della sua applicazione in microelettronica, di speculazioni ne sono state fatte molte. Troppe, perché Il break-through, nei fatti, non è ancora stato raggiunto e difficilmente ce ne sarà uno dirompente quanto lo fu quello del Silicio negli anni ‘50.

Nessuna Graphene Valley in vista quindi, nessuna nuova California. Il paragone non regge e nell’infografica qui sotto trovate riassunti una serie di motivi per (non) crederci.

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