Medicina
Disfunzione Sessuale post-SSRI, un esempio di quello che la scienza non dice
Poco più di un anno fa avete gentilmente pubblicato una mia lettera sul tema della Disfunzione sessuale post-SSRI (PSSD). Vi riscrivo oggi per qualche aggiornamento che dà speranza a noi che soffriamo di PSSD, ma in realtà positivo per tutti, vista la crescente mole di prescrizione di farmaci serotoninergici (e dei “rischi” annessi) non solo per disturbi dell’umore, ma anche disturbi di ansia, del comportamento alimentare e del sonno, nelle terapie del dolore ed altre indicazioni off-label. Le buone novità riguardano in particolare il coinvolgimento dell’Istituto Mario Negri di Milano che sta pianificando diversi studi sulla PSSD, a partire da un’indagine di consapevolezza medica ed uno studio epidemiologico. Il loro impegno è orientato anche alla comprensione dell’eziologia, cosa necessaria anche all’individuazione di un trattamento o cura. Il dottor Roberto C. Melcangi presso l’Università di Milano sta continuando la ricerca sugli effetti a lungo termine di SSRI sui neurosteroidi, grazie ad una recente raccolta fondi organizzata dai pazienti con PSSD e tuttora aperta. Maggiori dettagli sulle ricerche in corso si possono trovare sul sito web italiano di riferimento.
Vorrei approfittare di questo spazio per gettare una luce su un quadro piuttosto ombroso che la PSSD e l’opera di uno specialista e autore che se ne sta occupando mi hanno portato ad approfondire. Quanto sto per scrivere è anche un riassunto di questo recente seminario del Professor David Healy. Prima di studiare i metodi più efficaci per distribuire farmaci a sempre più persone per prevenire i più svariati problemi di salute vale la pena dare un’occhiata – e possibilmente una “cura” – alle radici stesse del sistema farmaco-sanitario odierno, perché i problemi di salute, altrimenti, anziché prevenirli si possono creare.
Ogni farmaco che prendiamo è un “veleno” che interagendo con il nostro organismo avrà una moltitudine di effetti, tra i quali potrebbe esserci quello che stiamo cercando, ma tra gli altri effetti potrebbe esserci qualcosa di ben più rilevante per noi che rende il rapporto rischio-beneficio sfavorevole. Questo concetto sembra essere stato dimenticato da parte dei servizi sanitari che offrono prescrizioni sempre più frequenti e sistematiche, nonostante si sia osservato che la politerapia negli ultimi anni sia già arrivata al punto di abbassare le aspettative di vita in alcuni paesi industrializzati.
Mentre un tempo i case report sugli eventi avversi erano la principale fonte tramite la quale i medici potevano informarsi e aggiornarsi sui possibili effetti dei farmaci, oggi le riviste sono sempre più restie a pubblicare “allarmanti” case report, i quali tra l’altro vengono poi definiti “aneddotici” e ignorati, e il settore medico si affida ciecamente ai risultati restituiti dagli studi clinici RCT (dall’inglese randomized controlled trial). I farmaci vengono approvati e messi in commercio sulla base delle cosiddette “evidenze”, le prove di efficacia ottenute attraverso i trial clinici. Ma questi sono progettati dalle stesse case farmaceutiche sulla base di un endpoint primario che non è certamente quello di rilevare i molteplici effetti collaterali e i danni prodotti dal farmaco che vogliono fare approvare. Inoltre, i paper sugli RCT che finiscono sulle riviste di medicina sono scritti non dai veri autori dello studio, ma da abili ghostwriter incaricati di presentare nel modo migliore i risultati, soprattutto laddove i risultati restituissero in realtà esiti negativi sul rapporto rischio-beneficio. Allo stesso tempo, i dati grezzi dei trial clinici custoditi dalle case farmaceutiche sono inaccessibili a chiunque, perfino alle agenzie di farmacovigilanza come Aifa, EMA, FDA.
Se tu o un tuo caro foste vittime di un evento avverso a un farmaco e andaste a riferirlo al dottore in cerca di supporto, il medico si rivolgerebbe agli RCT in letteratura e se non vi trovasse niente di documentato, probabilmente negherebbe che la vostra esperienza sia riconducibile al farmaco; cesserebbe di vedervi e sentirvi, diventereste come “invisibili”. E nel caso lo segnalasse alle agenzie di farmacovigilanza, o che lo faceste voi, il vostro “caso” sarà archiviato come “aneddotico”. Questo quando voi in carne e ossa dovreste essere le prime e più immediate “evidenze” di ciò che il farmaco può causare.
Tutto questo quadro si sposa perfettamente con il grave ritardo con cui le agenzie di farmacovigilanza, per prima quella europea (EMA) hanno richiesto alle case farmaceutiche di aggiungere una avvertenza sulle indicazioni dei farmaci SSRI e SNRI circa la possibile persistenza di sintomi di disfunzione sessuale in seguito all’interruzione del trattamento, nonostante anni e anni di segnalazioni spontanee pervenute, e solo a seguito di una sollecitazione cittadina avanzata da parte di specialisti che hanno a cuore la verità. Si sposa con l’esperienza diretta di pressoché tutti i pazienti con PSSD fino a oggi che di fronte all’evidenza sperimentata sulla propria pelle si sono rivolti ai medici ricevendo risposte scettiche, di negazione o perfino di arroganza e derisione di fronte alla loro insistenza e preoccupazione, anziché sperimentare l’incontro con un medico attento e disposto ad ascoltare, approfondire e ad apprendere.
Uno di questi rari medici è il dottor David Healy, probabilmente il più esperto e coinvolto al mondo sul problema della PSSD sia da un punto di vista scientifico sia come opera di divulgazione. Egli scorge nella PSSD un emblema dei pericolosi risultati restituiti dall’attuale sistema sanitario e nel suo ultimo libro “Shipwreck of the Singular” spiega in che modo si è passati dall’assistenza sanitaria a servizi sanitari sempre più disumanizzanti e si è giunti a questo punto critico che richiede ora la nostra attenzione e anche uno sforzo condiviso e coraggioso per recuperare quello che è degno di essere chiamato Cura.
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