Medicina

A 5 anni dalle legge sulle cure palliative, troppa differenze fra le Regioni

15 Marzo 2015

Cinque anni fa il Parlamento italiano approvava la legge sulle cure palliative e la terapia del dolore. Una legge che rappresenta un unicum nella legislazione italiana: votata all’unanimità dai due rami del Parlamento. Punto centrale del provvedimento è il diritto a ricevere cure adeguate fino alla fine della vita, anche quando non è più possibile la guarigione.

«Tu sei importante perché sei tu e sei importante fino alla fine», affermava la Cicely Saunders, la rivoluzionaria fondatrice dell’Hospice movement, autrice di «Sulla morte e il morire», best seller che dal 1969 in avanti ha profondamente influenzato il modo in cui la medicina approccia i malati terminali. Alla metà degli anni ’60 in Inghilterra, Saunders aveva intuito una cosa semplice e fondamentale: gli antidolorifici, dati al bisogno, non servivano a nulla. Occorreva pianificare una somministrazione controllata, per alleviare la sofferenza del malato. E rendere migliore la qualità della vita sua e della famiglia. Un approccio globale, dunque quello messo a punto dalla Saunders: malato, famiglia, casa, hospice, dolore fisico, dolore sociale fino a quello spirituale. Nel rispetto delle confessioni religiose.

In Italia siamo ancora lontani da quella visione e quella cultura. A partire dalle questioni più prettamente tecniche: la prima legge che finanziò gli hospice in Italia, nel 1999, non è stata ancora pienamente utilizzata sul fronte dei finanziamenti. Se si pensa che da circa 170 strutture di cinque anni fa oggi siamo arrivati a 250 si comprende che si va avanti troppo piano (Vedi qui una mappa degli ospizi in Italia).

C’è poi ancora il problema della disomogeneità dell’offerta di cura tra le regioni. «Abbiamo consegnato al ministro della Salute Beatrice Lorenzin 50mila firme della Campagna di San Martino [«contro la sofferenza inutile della persone inguaribile», ndr] con la precisa richiesta al Ministero di farsi carico del problema di colmare queste differenze», spiega Luca Moroni, presidente della Federazione Italiana Cure Palliative. L’organizzazione raduna 80 associazioni di volontariato. Quindici anni fa, al momento della nascita, erano poco più di una ventina: «È un segno – conclude Moroni – che il cittadino non vuole essere solo un utente, ma parte attiva dei bisogni della comunità».

 

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