Medicina
Covid, la sfiducia nei vaccini è la sfiducia nel progresso e nel futuro
Dobbiamo un grazie al microbiologo Andrea Crisanti, in realtà. Ha innervosito e spiazzato molti, anche chi scrive, con la sua affermazione sui vaccini anti-coronavirus, dicendo “in assenza di dati, il primo vaccino che sarà distribuito a gennaio, io non lo farei”. Un’affermazione rischiosa, anche e soprattutto nel contesto in cui lo scienziato l’ha resa. Prima ha detto che di solito accumulare dati per validare un vaccino richiede anni. Poi ha detto che in questo caso ci siamo fatti bastare mesi. Infine ha detto quel che ha detto. Una frase evidentemente inavvertita, almeno nelle conseguenze, tanto che lo stesso Crisanti ha dovuto correggere il tiro e ammorbidire, spiegando che ovviamente i vaccini sono lo strumento principe di lotta ai virus, e che non voleva mettere in disucssione nè lo strumento in generale nè, in fondo, il processo che – speriamo tutti – ci libererà dalla pandemia. Da questa pandemia, quantomeno.
È stato interessante seguire i commenti e i dibattiti che hanno seguito l’affermazione di uno degli scienziati più credibili, visibili, apprezzati, invitati e intervistati di questo 2020 pandemico. A una lettura primaria delle posizioni, le parole di Crisanti hanno cristallizzato tra i suoi sostenitori alcune posizioni sottopelle che erano già visibili e percebili prima. Ma il fatto che uno scienziato autorevole e sicuramente non eretico le abbia dette, ha rafforzato certi sentimenti. Quali?
Per cominciare, nella popolazione, c’è da tempo una minoranza che non sappiamo quantificare dimensionalmente, ma certo è rumorosa, che crede dogmaticamente alla “chiusura di tutto” come unica soluzione. Sono le stesse persone che, già a maggio, alle prime timide riaperture, urlarono alla catastrofe, perché l’unica soluzione possibile era aspettare – tutti chiusi, a tempo indeterminato – il contagio zero. Si distinguono, queste voci, per volere tutto chiuso, scuole di ordine e grado comprese. Anzi, a tratti sembra che soprattutto le scuole dovrebbero chiudere, per lavare l’onta di averle volute riparire. Poco importa che i dati di queste settimane dicano che, rinunciando ovviamente ad altro, le scuole possono riaprire. Sono le stesse persone che, a quella fase, attribuiscono ogni male, e ogni male presente, soprattutto. Ma come si poteva fare a vivere, chiusi e isolati dal mondo per sempre?
Qui subentra un secondo aspetto, che coniuga psicologia e orientamento politico. E – potremmo dire – anche, e soprattutto, antropologico. Da qualche parte, in questo pezzo di opinione pubblica, si annida uno sguardo millenarista sul futuro che verrà. La pandemia è anche l’occasione per regolare i conti – si parla di speranze e sogni, sia chiaro – con quel che chiamiamo omnicomprensivamente “capitalismo”. Dentro c’è un po’ tutto: dal pizzaiolo sottocasa “che ha sempre evaso”, al datore di lavoro che sfrutta la cassa integrazione per far lavorare ugualmente a frodo i dipendenti. Purtroppo non ci sono i giganti, veri attori del capitalismo di oggi, gli Amazon, gli Uber, i Google, eccettera, che dall’incrudelire della crisi avranno solo da guadagnare. Ma la speranza che le chiusure spazzino via il capitalimo c’è, e si sente, per quanto imprecisa sia.
Infine, ed è l’aspetto più interessante e insieme più inquietante, questo pezzo di opinione pubblica che si ritiene convintamente progressista, non ha paura di saldarsi con quel che fino a ieri – a ragione – è stato ritenuto nemico radicale del progresso e della scienza, cioè chi, in generale, dubita che i vaccini servano a ciò che dichiarano, dubita che i medici facciano il loro lavoro fedeli al giuramento e non a poteri oscuri, dubita insomma che il Covid-19, sindrome provocata dal nuovo Coronavirus, abbia davvero gli effetti che la letteratura mondiale descrive. È proprio qui, forse, che il discorso di Andrea Crisanti mostra la sua debolezza maggiore: negli alleati strumentali che, ben al di là delle intenzioni dell’autore, si è trovato per strada. Imbarazzanti, anzitutto per lui.
Cosa unisce questi mondi sicuramente diversi, che probabilmente su molti argomenti verrebbero alle mani rapidamente? Li unisce una profonda sfiducia nel futuro, nel progresso, nella possibilità che la società in cui vivono, questa società, possa essere un luogo di giutizia sociale e di progresso per la loro condizione. Li unisce la rabbia, la convinzione che il mercato sia solo il luogo della finanza speculativa e non anche quello in cui il lavoro onesto possa essere giustamente remunerato. Li unisce la confusione, comprensibile, di fronte a dati non intelleggibili, a opinioni spacciate per certezze perchè date dagli scienziati. Li unisce l’incertezza sul destino di questa pandemia che, come tutte le malattie nuove, vede a tutt’oggi pesare tantissimo ciò che non sappiamo, e che nemmeno la scienza mondiale ancora sa. Li unisce insomma qualcosa che non può, ancora una volta, essere semplicemente derubricato a idiozia, a meno di non volere ulteriormente alimentare il forno del populismo. La risposta a questo mix esposivo è complicata. Non basterà, purtroppo, il vaccino: ma ricordare tutto questo e farsene carico è un dovere delle classi dirigenti del mondo. Lo è quanto lo è stato sentire come un dovere di tutto correre, con ogni forza, verso il vaccino.
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