Medicina
Covid, quanto è costata al mondo l’improvvisazione scientifica e terapeutica?
Un’epidemia causata da un virus nuovo, per definizione, coglie impreparato il mondo, a cominciare dai medici e dagli scienziati. È una considerazione ovvia, in generale, che però ha conosciuto declinazioni specifiche particolarmente rilevanti, con conseguenze dolorose, nelle fasi iniziali della pandemia in corso.
Un’accurata ricostruzione di Marco Garrone, pubblicata da Scienza in Rete, consente di ricostruire una serie di passaggi fondamentali, dall’inizio dell’epidemia a oggi. Nell’articolo si legge, ad esempio:
Per esempio, dalla Cina era arrivata, quasi voce di corridoio, l’indicazione all’intubazione precoce dei pazienti Covid-19, un po’ per la nozione che essi andavano incontro a rapido deterioramento e probabilmente un po’ sotto l’influenza emotiva di vedere pazienti con SpO2drammatiche e P/F peggiori, ritenuti da intubare anche se stavano serenamente digitando sullo smartphone un messaggio per i parenti a casa: la happy hypoxia non ci era familiare. Il passaggio a un approccio più attendista ha, verosimilmente, salvato molte vite.
Anche le cure farmacologiche, usate in maniera disordinata e senza alcuna cautela, almeno nella fasi iniziali, avrebbero contribuito a peggiorare la situazione. L’articolo nota che gli elementi a sostegno dell’efficacia delle terapie erano pochi e fragili.
Al di là della dimostrata scarsa efficacia, il dato che accomuna tutte queste terapie potenzialmente utili è la qualità dei dati di letteratura pubblicata a supporto, spessomolto scadente: un bel po’ di dumbshitscientifico, che inquina le fonti e che è animato, nell’ipotesi più benevola, dalla fretta di condividere soluzioni e, nelle ipotesi meno lusinghiere, da smania di pubblicare, da interessi commerciali, eccetera.
E perché è successo tutto questo? Perché non si è trattato un virus nuovo e cattivo con più prudenza?
Finalmente illuminante è l’intervento pubblicato su Medscape da Vinay Prasad, che commenta attonito la deviazione dalla buona pratica che Covid-19 ha indotto nella classe medica. Leggere Prasad lascia sgomenti, ma serve anche a sentirsi meno soli. Prasad identifica correttamente come il motore di queste deviazioni altro non sia che la paura dei medici: paura della propria inadeguatezza, paura di essere un giorno messi a confronto col non aver agito, paura di dover dire a un paziente “non abbiamo cure per questa malattia” e, infine, paura di ammalarsi e morirne. La paura, spiega Prasad, ha portato a etichettare troppo presto questa malattia come molto diversa dall’ARDS (sindrome da distress respiratorio acuto), a usare in maniera inconsulta una serie cospicua di farmaci, a modificare senza evidenze di beneficio la posologia delle terapie antitrombotiche e ad alimentare diffuse condotte di stigma dei dissenzienti.
C’è davvero da sperare che le molte cose imparate servano davvero. Mano a mano che l’epidemia avanza. Ma anche, soprattutto, qualora un nuovo virus dovesse bussare alle porte dell’umanità.
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