Benessere
Una classe sotto la media
Una società è composta da un insieme di individui dotati di diversi livelli di autonomia, relazione ed organizzazione che, aggregandosi, interagiscono al fine di perseguire obiettivi comuni. Gli individui che ne fanno parte stabiliscono relazioni reciproche allo scopo di costituire una comunità dotata di diversi livelli organizzativi. È pertanto la presenza di livelli organizzativi che differenzia principalmente una società da un semplice insieme di soggetti ( ad esempio è possibile così parlare di tribù dell’America equatoriale, di caste in quella indiana e di classi economico-sociali in quella capitalistica occidentale ).
La suddivisione della società in classi ( o livelli organizzativi ) è molto antica. Se fino al Settecento l’unica discriminante è stato il censo, successivamente alla rivoluzione industriale, sono intervenuti altri fattori dipendenti dal rapporto tra capitale e forza lavoro. Infatti se già nell’antica Grecia Platone distinse le classi sociali in base al censo, nel medioevo si identificavano il clero, la nobiltà, la borghesia, i contadini ed i servi della gleba, una suddivisione sociale statica dove chi nasceva servo moriva servo.
Nel Settecento Adam Smith suddivise la società in tre classi, quella dei lavoratori, quella dei capitalisti e quella dei proprietari terrieri, mentre Marx , successivamente, si soffermò in particolare sul rapporto con i mezzi di produzione, da cui emersero invece due classi conflittuali, i proprietari del capitale e quelli della forza lavoro.
Nel Novecento i sociologi, accorgendosi della continua mobilità sociale, compresero invece che i confini tra le classi erano sempre più sfumati, al punto da stratificare le classi al loro interno.
Nelle odierna società post-industriale è complesso stabilire validi criteri per la teorizzazione e l’individuazione delle classi. Si tende quindi ad adottare il termine ceto sociale, che è meno forte e caratterizzante di quello di classe. Per esempio è molto usata la dizione classe media o ceto medio.
L’espressione classe media diventa di uso comune nel XIX secolo come sinonimo di borghesia imprenditoriale, per indicare la classe che per reddito, prestigio e potere occupa una posizione intermedia tra l’aristocrazia e il proletariato.
Negli Stati Uniti il concetto di middle class è un riferimento importante per le politiche economiche dei presidenti eletti e lo è ancora di più per i candidati alla presidenza in quanto determinanti per decidere i futuri presidenti.
Essa non raccoglie al suo interno solo individui aventi caratteristiche economiche simili ma rappresenta piuttosto un’identità sociale e politica che, oltre a fare propri quei valori storici dell’America bianca e protestante, è capace anche di superare le differenze di genere e razza. Una classe interclassista che, per essere tale, necessita dell’assenza del conflitto sociale in quanto ispirata ai valori della società capitalistico-industriale basata sulla produzione, sul mercato di massa, sul crescente livello d’istruzione secondaria ed universitaria e sulla mobilità sociale.
La composizione sociale della middle class americana non è ingessata ma eterogenea in quanto al suo interno è possibile annoverare, oltre alla piccola borghesia imprenditoriale e professionale, anche quanti rientrano nelle fasce basse del lavoro d’ufficio e chi svolge un lavoro manuale come gli operai specializzati.
Nel nostro paese il concetto di classe media è assai vago ed indefinito. C’è chi la considera composta esclusivamente dai piccoli e medi imprenditori, dai commercianti e dai liberi professionisti, componenti di quel corpo intermedio che dovrebbe rappresentare l’ossatura economica del paese. C’è chi invece, rifacendosi agli stereotipi quali retaggio delle fratture sociali del novecento, la considera composta esclusivamente da benestanti e da evasori fiscali.
A seguito della crisi economica determinata dall’esplosione della bolla finanziaria americana del 2007, la classe media italiana, come quella europea ed americana, si è trovata a confrontarsi con problematiche economico-sociali rispetto alle quali non si era dovuta precedentemente raffrontare o semplicemente riteneva di avere superato.
Dall’indagine sul risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani 2015 del Centro Einaudi e di Intesa Sanpaolo le famiglie italiane che appartengono alla classe media nel 2015 rappresentano il 38,5% del totale rispetto al 57,1% rilevato nel 2007. Circa 7 milioni di italiani (3 milioni di famiglie) che hanno perso durante la crisi l’ancoraggio economico che li legava alla classe media facendo un passo indietro rispetto ai propri genitori invertendo così la direzione dell’ascensore sociale da top a down.
I modelli di consumo hanno conseguentemente subito una flessione: il 60 per cento ha tagliato su vacanze, alberghi e ristoranti, il 35 per cento sugli spettacoli, il 24 per cento ha rinunciato a cure mediche private, il 25 per cento sull’acquisto delle automobili mentre i tagli su abbigliamento e accessori hanno raggiunto valori vicini al 50 per cento.
Ma oltre alla crisi economica è possibile rilevare altri fattori quali concausa del declino della classe media italiana. Fattori derivanti dalle strutturali trasformazioni economiche, sociali e politiche imposte dal nuovo assetto del capitalismo globale e dalla necessità di rendere più efficienti le istituzioni nazionali.
Lo Stato chioccia quale rappresentazione del secolo scorso non esiste più in quanto è mutato il suo ruolo d’influenza sull’economia e sulla società.
L’impossibilità da parte dello Stato di influire direttamente come un tempo nel mercato economico e nel sistema industriale nazionale per mezzo di sgravi fiscali mirati e localizzati, grazie ai famosi aiuti di Stato avversi dall’Europa in quanto ostacoli alla reale concorrenza tra le aziende europee, hanno posto le aziende nazionali a confrontarsi con nuovi concorrenti globali senza però combattere ad armi pari a causa delle carenze strutturali ( non solo istituzionali ) del paese.
Inoltre le lente ma inesorabili privatizzazioni che ,oltre a cercare di smantellare i monopoli statali nell’ottica della liberalizzazione del mercato, hanno tolto alle aziende pubbliche quella particolare funzione di ammortizzatore sociale quale serbatoio di posti di lavoro.
I minori investimenti dettati dai tagli di bilancio sul welfare e sulla sanità hanno invece cambiato la mission universalistica dei servizi sociali al cittadino in quanto sono stati circoscritti i beneficiari delle politiche di garanzia pubblica di servizi e prestazioni sociali ad una fetta sempre più ridotta di cittadini, limitandone così significativamente l’efficacia sulle famiglie della classe media.
L’ingresso nel mercato del lavoro di milioni di lavoratori a basso costo e la ferrea competizione globale hanno mutato inoltre le tradizionali strutture produttive locali andando ad incidere negativamente sull’occupazione e sulle retribuzioni.
La disgregazione del tessuto economico sta lentamente portando indietro le lancette della storia in quanto la struttura sociale contemporanea sta sempre più prendendo le sembianze di quella ottocentesca, contraddistinta dalla concentrazione della ricchezza in poche mani e dal relativo aumento delle diseguaglianze e della povertà. Infatti il compenso di un top manager di una multinazionale è aumentato oltre 100 volte rispetto quello di un operaio, ampliando così il divario tra gli opposti gruppi sociali, generando quel malumore dal basso che è stato raccolto da gruppi di protesta come Occupy negli Stati Uniti e Podemos in Spagna.
L’Italia per uscire dagli effetti della crisi economica che la attanaglia da quasi un decennio deve, oltre a riformare l’assetto istituzionale del paese, imboccare la strada di un nuovo rinascimento sociale. Tra i due opposti ( grandi ricchezze e povertà ) è presente una fascia sociale intermedia che rappresenta la maggioranza della società. Un insieme di singoli individui e famiglie che chiedono a chi li governa gli strumenti e le condizioni per tornare a credere nel proprio futuro.
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