Benessere
“Un tempo per tacere e un tempo per parlare”, ma tutto questo Beatrice non lo sa
Dal “Niente sesso siamo inglesi” al Fertility Day.
Cambiano i tempi, ma soprattutto noi siamo italiani e siccome pecchiamo nell’avere una memoria troppo corta la Lorenzin istituisce una giornata della memoria fissata per il 22 Settembre per ricordarci che il tempo in cui una coppia è fertile, è limitato. Un colpo al cuore per tante di noi che cresciute con “Alice nel paese delle meraviglie” avevamo un concetto labile di tempo in cui il per sempre poteva coincidere col secondo.
Se nel “Trionfo di Bacco e Arianna” Lorenzo de’ Medici invitava a godere delle possibilità offerte dalla fuggitiva giovinezza in quanto il domani è un luogo altamente incerto, la Lorenzin, di contro, oppone la ferrea certezza di un tempo in scadenza se protratto senza generare.
Come al solito non sono mancate frasi denigratorie, parodie e attacchi di ogni genere che hanno invaso i profili dei vari social. Non saranno stati esagerati considerando che la povera Lorenzin ha vestito i panni della brava madre che, non priva di lucida e inesorabile logica, ricorda alla figlia l’avanzare dell’età e l’opportunità , quindi, di non negare a se stessa le gioie per cui ogni donna è stata creata
Forse gli italiani, popolo di pigri e di scarsa sensibilità sociale verso una nazione consegnata nelle mani di quelli che saranno gli immigrati di seconda generazione, sono anche un popolo di permalosi?
Se si pensa che Swift nel suo “A Modest Proposal” proponeva che si mangiassero bambini per risolvere il problema dell’Irlanda attanagliata dalla fame, dalla disoccupazione e dell’alto tasso di nascite, si potrebbe essere più clementi verso un invito a procreare.
Fatto sta che il messaggio della Lorenzin, così come trasmesso dagli slogan, è parso più una provocazione che un invito. Il “Datti una mossa! Non aspettare la cicogna” sembra più che un’esortazione, un attacco in linea con quello in cui Padoa Schioppa rimproverava ai bamboccioni la reticenza a lasciare il tetto materno per manifesta comodità.
Se poi ci aggiungiamo che “i genitori giovani sono più creativi”, allora non si lascia spazio al dubbio: il tentativo di autoboicottaggio è palese.
Su quale pianeta vive la Lorenzin è sicuramente il dubbio amletico che attanaglia tutti gli Italiani in queste ore. A lei, invece, si insinuerà mai il dubbio che gli italiani non aspettano la cicogna, ma forse un lavoro dignitoso che consenta loro di poter progettare e che le donne, nello specifico, attendano e si aspettano una legge che tuteli il loro diritto alla maternità, spesso considerata un limite nei colloqui di assunzione.
“La fertilità è un bene comune”. Bisognerebbe dirlo a chi con sofferenza ha dovuto rinunciare ad essere madre o si è sottoposta a trattamenti dolorosi e dispendiosi pur di avere un figlio. Quest’ultimo slogan, inoltre, ben lontano dal considerare la fertilità, il corpo, la capacità e la volontà di concepimento qualcosa di profondamente intimo e personale, sembra richiamare l il concetto comunista della comunanza dei mezzi di produzione.
Pare, poi, quasi un richiamo a Zygmut Bauman il riferimento della Lorenzin alla “data di scadenza” che per il Ministro della Salute interessa anche la nostra fertilità. Diversamente dal filosofo e sociologo polacco, però, non opera una distinzione tra produttori e consumatori, incita a produrre, vita si intende, il consumo ne verrà di conseguenza insieme alla povertà, suo rovescio. Non importa se tra le vittime si annovererà sempre più la grande conquista civile del welfare state in quanto uno Stato incapace di generare politiche sociali a sostegno del benessere dei propri cittadini, invita a generare più figli.
Gli slogan utilizzati dalla campagna del Fertility Day hanno, insomma, più il sapore di aggressione alla sovrana libertà dell’individuo.
Senza considerare poi, che al di là di ogni romantica considerazione sulla gioia di essere genitori, un figlio richiede cure mediche già quando è solo un feto e questo il nostro ministro, siamo certi , lo sa bene. Pertanto, limitare le nascite è a volte più una rinuncia forzata che una scelta libera.
A pensare che risale a qualche giorno fa l’indignazione della nostra classe politica di fronte alla volontà del premier francese Valls di vietare l’uso dei burkini visti come traduzione di un progetto politico fondato sulla sottomissione della donna, non compatibile con i valori di uno stato liberale e democratico. Affermare che la crescita del livello d’istruzione ha comportato un ritardo nella formazione di nuovi nuclei familiari, non sembra riproporre lo stesso modello di donna sottomessa e relegata a ruoli secondari e comunque di dipendenza nei confronti dell’uomo?
Cosa dovremmo aspettarci nell’immediato futuro dopo proclami che sembrano enfatizzare l’importanza della funzione riproduttiva delle donne a discapito della loro emancipazione come persona a prescindere dalla maternità? Si potrebbe ipotizzare, ispirandosi al film “Monnalisa Smile”, di creare scuole i cui la formazione di una donna sia rimodellata secondo lo schema che ancora veniva imposto loro negli anni 50 da una società che le voleva intelligenti e istruite, mogli obbedienti, capaci di scegliere l’uomo giusto per poter diventare brave madri e corrispondere a quel ruolo tramandato da un oscurantismo che si è protratto per secoli.
Le ipotesi più fantasiose sembrano scenario perfetto per una campagna pubblicitaria che la dice lunga sul distacco e sulla mancanza di empatia dei nostri politici dai problemi reali del paese. Che forse il sostegno alle famiglie attraverso incentivi sulle nascite, servizi di babysitting , pediatra e mense scolastiche gratis, facilitazioni sulle adozioni, siano obiettivi di politiche poco convincenti in uno stato in cui i proclami restano solo il decalogo delle buone intenzioni?
In un mondo dai repentini cambiamenti dalla politica al lavoro, anche l’atto procreativo sembra ormai dover sottostare a logiche di ragion di stato che con l’amore e il desiderio c’entrano poco, ma di fronte a tante incertezze, il fatto che qualcuno ci ricordi che il nostro tempo sia limitato costituisce almeno una certezza a cui possiamo finalmente aggrapparci.
Il celebre “Sed fugit interea fugit irreparabile tempus”, monito fondamentale per chi come il nostro ministro ha compiuto studi classici, sia, allora, il nostro quotidiano memento homo. E a tutte le donne mi sentirei di consigliare di recitarlo più volta al giorno insieme a qualche verso di “Voglio una donna”, canzone che Vecchioni proponeva qualche anno fa.
Non c’è che dire, ci serviva proprio “la donna col cervello” per risolvere il problema della denatalità
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