Benessere

“Un tempo per tacere e un tempo per parlare”, ma tutto questo Beatrice non lo sa

1 Settembre 2016

 

Dal “Niente sesso siamo inglesi” al Fertility Day.

Cambiano i tempi, ma soprattutto   noi siamo italiani e  siccome pecchiamo nell’avere una memoria troppo corta la Lorenzin istituisce  una  giornata della memoria fissata per   il 22 Settembre   per ricordarci   che il  tempo in cui una coppia è fertile, è  limitato. Un colpo al cuore per tante di noi che  cresciute con “Alice nel paese delle meraviglie”  avevamo un concetto labile di tempo in cui   il per sempre poteva coincidere col secondo.

Se  nel “Trionfo di Bacco e Arianna” Lorenzo de’ Medici  invitava a  godere delle possibilità offerte dalla fuggitiva  giovinezza  in quanto il domani è un luogo altamente incerto, la Lorenzin, di contro, oppone la ferrea certezza di un tempo in scadenza  se protratto senza  generare.

tempus fugit

Come al solito non sono mancate frasi denigratorie, parodie e attacchi di ogni genere  che hanno invaso i profili dei vari social. Non saranno stati esagerati considerando che  la povera Lorenzin ha vestito  i panni della brava  madre che, non priva di lucida e inesorabile logica, ricorda  alla figlia l’avanzare dell’età e  l’opportunità , quindi, di  non  negare   a se stessa le gioie per cui ogni donna è stata creata

Forse gli italiani, popolo di pigri e di scarsa sensibilità sociale  verso una nazione  consegnata nelle mani di quelli che saranno  gli immigrati di seconda generazione, sono  anche un popolo di permalosi?

Se si pensa che Swift nel suo “A Modest Proposal”  proponeva  che si mangiassero bambini  per risolvere il problema dell’Irlanda attanagliata dalla fame, dalla disoccupazione e dell’alto tasso di nascite, si potrebbe essere più clementi verso un invito a procreare.

Fatto sta che il messaggio della Lorenzin, così come trasmesso dagli slogan, è parso più una provocazione che un invito. Il “Datti una mossa! Non aspettare la cicogna” sembra più  che un’esortazione, un attacco  in linea con  quello in cui  Padoa  Schioppa  rimproverava  ai bamboccioni la reticenza a lasciare  il tetto materno per manifesta comodità.

Se poi ci aggiungiamo che “i genitori giovani sono più creativi”, allora non si lascia spazio al dubbio: il tentativo di autoboicottaggio  è palese.

Su quale pianeta vive la Lorenzin  è sicuramente  il dubbio amletico che attanaglia tutti gli Italiani in queste ore.  A lei, invece, si insinuerà  mai il dubbio che gli italiani non aspettano la cicogna, ma forse un lavoro dignitoso che consenta loro  di poter progettare  e  che le donne, nello specifico,  attendano e si aspettano  una legge che  tuteli il loro  diritto alla maternità, spesso considerata  un limite nei colloqui di assunzione.

“La fertilità è un bene comune”. Bisognerebbe dirlo a chi con sofferenza ha dovuto rinunciare ad essere madre  o si è sottoposta a trattamenti dolorosi e dispendiosi pur di avere un figlio. Quest’ultimo slogan, inoltre, ben lontano dal considerare la fertilità, il corpo, la capacità e la  volontà di concepimento  qualcosa di profondamente intimo e personale, sembra richiamare l il concetto comunista   della comunanza dei mezzi di produzione.

Pare, poi, quasi un richiamo  a  Zygmut Bauman il riferimento della Lorenzin  alla “data di scadenza”  che per   il  Ministro della  Salute  interessa anche la nostra fertilità. Diversamente dal filosofo e sociologo polacco, però,  non opera  una distinzione tra produttori e consumatori, incita a produrre, vita si intende,  il consumo  ne verrà di conseguenza insieme alla povertà, suo rovescio.   Non  importa se tra le vittime  si annovererà  sempre più   la grande conquista civile del welfare state in quanto uno Stato  incapace di generare politiche sociali a sostegno del benessere dei propri  cittadini, invita a generare più figli.

Gli slogan utilizzati dalla campagna del Fertility Day hanno, insomma,  più il sapore di aggressione alla sovrana libertà dell’individuo.

Senza considerare poi, che al di là di ogni romantica considerazione sulla gioia di essere genitori, un figlio richiede cure mediche già quando è solo un feto e  questo il nostro ministro, siamo certi , lo sa bene. Pertanto, limitare le nascite è a volte più una rinuncia forzata che una scelta libera.

A pensare che risale a qualche giorno fa l’indignazione della nostra  classe politica  di fronte alla volontà del  premier francese  Valls  di vietare l’uso dei burkini visti come  traduzione di un progetto politico fondato sulla sottomissione della donna, non compatibile con i valori  di uno stato liberale e democratico. Affermare che la crescita del livello d’istruzione ha comportato un ritardo nella formazione di nuovi nuclei familiari, non sembra riproporre lo stesso modello di donna sottomessa e relegata a ruoli secondari e comunque di dipendenza nei confronti dell’uomo?

Cosa dovremmo  aspettarci nell’immediato futuro dopo proclami che sembrano enfatizzare l’importanza della funzione riproduttiva delle donne a discapito della loro emancipazione  come persona a prescindere dalla maternità? Si potrebbe ipotizzare, ispirandosi al film  “Monnalisa Smile”,  di creare scuole i cui la formazione di una donna sia rimodellata  secondo lo schema che ancora veniva  imposto loro  negli anni 50 da una società che le voleva intelligenti e istruite, mogli obbedienti,  capaci di scegliere l’uomo giusto  per  poter diventare brave  madri e corrispondere a quel ruolo  tramandato  da  un oscurantismo  che si è protratto per secoli.

Le ipotesi più fantasiose sembrano scenario perfetto per una campagna pubblicitaria che la dice lunga sul distacco e sulla  mancanza di empatia  dei nostri politici dai problemi reali del paese. Che forse il sostegno alle famiglie attraverso incentivi sulle nascite, servizi di babysitting , pediatra e mense scolastiche  gratis, facilitazioni sulle adozioni, siano obiettivi di politiche poco convincenti in uno stato in cui i proclami restano solo il decalogo delle buone intenzioni?

In un mondo dai repentini cambiamenti dalla politica al lavoro, anche l’atto procreativo  sembra ormai dover sottostare a logiche di ragion di stato che con l’amore e il desiderio c’entrano poco,  ma di fronte a tante incertezze, il fatto che qualcuno ci ricordi  che  il nostro  tempo sia limitato costituisce almeno  una certezza a cui possiamo finalmente aggrapparci.

Il celebre “Sed fugit interea fugit irreparabile tempus”,  monito fondamentale per  chi come il nostro ministro ha compiuto studi classici, sia, allora,  il nostro  quotidiano memento homo. E a tutte le donne mi sentirei di consigliare di recitarlo più volta al giorno insieme a qualche verso di “Voglio una donna”, canzone che Vecchioni proponeva  qualche anno fa.

Non c’è che dire, ci serviva proprio   “la donna col cervello” per risolvere il problema della denatalità

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