Benessere

Senza pelle

28 Ottobre 2022

“Ho visto persone a pezzi, aiutare chi aveva solo una crepa”  (Charles Bukowski)

“Senza pelle” è il titolo di un bellissimo film del 1994 del regista Alessandro D’Alatri, che racconta una storia di sofferenza mentale.

Oggi è sulla piattaforma Netflix una serie che sta riscuotendo grande successo, “Tutto chiede salvezza”, anch’essa produzione italiana. Racconta una settimana di ricovero in trattamento sanitario obbligatorio in un Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) del giovane Daniele, dopo un’improvvisa crisi psicotica al termine di una notte di eccessi in discoteca.

La storia è ricavata da uno profondo romanzo di Daniele Mencarelli dal titolo analogo alla serie.

Nella quinta puntata, Mario, uno dei ricoverati, ex maestro di scuola, filosofo e amante della poesia, spiega a Daniele che lui non riesce ad indossare pigiami leggeri, si sente “senza pelle”, soffre il caldo, ma ha necessità di pigiami pesanti anche con un clima rovente.

E questo è ciò che ci viene raccontato del protagonista: un’incapacità a difendersi dal dolore altrui senza viverlo a sua volta, fino a farsene travolgere. Un cuore senza barriere, un corpo senza limiti a ciò che può invaderlo.

Ciò che è straordinario di questa serie è il suo alzare il velo su un mondo per lo più ignorato in cui prende corpo però una lezione di vita molto bella.

Daniele è costretto alla coabitazione con uomini a lui sconosciuti e del tutto diversi dal suo universo quotidiano di relazioni.

Tutti con problemi molto più grandi dei suoi e all’apparenza incompatibili con la sua giovane fame di vita.

Ebbene proprio in questo piccolo mondo, Daniele impara che si può sviluppare un’amicizia con chiunque, che anche i matti possiedono dignità e bellezza insospettabili. Da loro riceve un invito al divertimento, alla creatività (inizia a scrivere poesie che loro apprezzano), si sviluppa una complicità e un’intesa che per lui sono una sorpresa e un dono.

Con loro Daniele inizia la sua riabilitazione, imparando che accettando la fragilità altrui può accettare la sua. Come il Centauro Chirone, da sempre mito che rappresenta l’essenza della scienza medica. Un dottore che cura gli altri col sangue delle proprie ferite, facendo della propria vulnerabilità un dono di compassione.

Nei titoli di coda della serie compare un nome importante: è quello dello psichiatra che ha offerto la sua consulenza tecnica, il dott. Peppe Dell’Acqua.

Da tutti ritenuto il successore di Franco Basaglia, ha preso il suo posto nella direzione dei servizi psichiatrici di Trieste.

Basagliana è tutta la storia. Nel suo raccontare persone non prigioniere di diagnosi, non “malati oggetto”. La vicenda, disegna piuttosto traiettorie umane, degenti capaci di sogni, desideri, abbracci e parole bellissime. Come voleva Basaglia: matti da considerare come protagonisti della propria guarigione, non solo cose cui destinare controllo e custodia.

Così come sono umani nel racconto anche gli psichiatri e gli infermieri, con le loro paure, fissazioni, fragilità, passioni fallite.

“Ognuno porta con sé il proprio dolore” spiega lo psichiatra del reparto a Daniele.

“Tutto chiede salvezza” dice infatti il titolo.

Tutto e tutti chiedono riscatto, consolazione, riconoscimento.

E salvare non è guarire, ma accogliere, ascoltare, vedere, esserci, condividere il dolore senza cancellarlo e condividere è già cura.

“La vera pazzia è non cedere mai. Non inginocchiarsi mai” come dichiara alla fine della sua intensa settimana Daniele tornando alla vita.

Possiamo perdonare alla serie che, per volontà dichiarata dello stesso regista Francesco Bruni, vorrebbe essere “realistica”, alcune discrasie narrative evidenti: non esistono reparti psichiatrici con porte e finestre apribili, ai degenti non si lasciano in mano scatole di farmaci per l’autogestione, in turno un infermiere da solo non è cosa che si vede mai.

Possiamo essere generosi perché vedere questa serie è compiere un viaggio in un buio tanto rimosso quanto necessario alla nostra considerazione.

“La malattia è il lato più oscuro della vita, una cittadinanza gravosa. Tutti noi che siamo nati abbiamo una doppia cittadinanza: nel regno dei sani ma anche nel regno dei malati. E anche se tutti preferiremmo usare il passaporto buono, prima o poi ognuno è costretto a diventare, almeno per poco, cittadino dell’altro regno” (S. Sontag).

 

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