Benessere
Per tornare a vivere bisogna eliminare il virus (ma forse è troppo tardi)
Le riaperture e l’umore della popolazione
Senza potenziare il tracing, senza una strategia di testing, senza aver svuotato le terapie intensive, senza un vero salto di qualità nella campagna vaccinale, ma soprattutto con un numero di morti che un tempo ci avrebbe reso disperati. Così l’Italia ha aperto lunedì. Soltanto una manciata di regioni restano in zona arancione e solo una in zona rossa, mentre le regole della zona gialla vengono allentate. Paradossalmente proprio la Sardegna, che mentre il resto d’Italia si tingeva di rosso diventava la prima zona bianca.
Le riaperture-fortemente volute da Lega, Forza Italia e Italia Viva- più che un rischio ragionato sono una scommessa. Quei paesi che hanno impostato la ripartenza lo hanno fatto a fronte sia di un lockdown durato mesi sia con un’elevata percentuale della popolazione vaccinata. Paragonare la situazione italiana con quella britannica o israeliana è quantomeno sciocco.
La popolazione, si dice, è allo stremo. Questa obiezione è tutt’altro che banale. L’insofferenza nei confronti delle norme porterebbe a una violazione delle stesse, vanificando gli sforzi di contenimento. Ma un allentamento delle restrizioni potrebbe avere effetti behavioural non di poco conto.
Come ha scritto Gianluca Codagnone, le persone valutano il loro rischio individuale. Il rischio di morire, per le persone più giovani, è relativamente basso. Il loro comportamento si adatterà al rischio. Ma, poiché la diffusione di un virus è un fenomeno sociale, si sottovalutano le esternalità. Cioè gli effetti che il comportamento del singolo ha sul resto della popolazione.
Ma la situazione d’emergenza che stiamo vivendo da oltre un anno poteva essere evitata?
Il Martello e la danza, e poi ancora il martello e poi ancora la danza e poi il martello e così via
A gennaio gli esperti e le esperte, davanti alla risalita dei casi, suggerirono al Presidente Emmanuel Macron di imporre un lockdown. Nonostante il percorso sembrasse già tracciato, quella sera il primo ministro Jean Castex confermò le restrizioni in atto. Qualche mese dopo la Francia si ritrovò comunque a imporre misure più stringenti per contenere la diffusione.
Come abbiamo notato insieme a Lorenzo Ruffino su Youtrend esistono almeno due tipi di lockdown: lockdown di mitigazione e lockdown di eliminazione.
Negli stati europei sono stati imposti, sempre, lockdown di mitigazione. Questo tipo di restrizioni hanno come fine quello di ridurre la pressione sugli ospedali per poi tornare a una situazione più simile alla normalità. Ovviamente, affinché si possa ridurre la pressione sugli ospedali, è necessario che calino anche i nuovi casi positivi.
D’altronde, imporre misure restrittive può essere estremamente impopolare.
Il caso italiano appare paradigmatico. La curva dei contagi aveva avuto un cambio di concavità verso la metà di agosto. Ma solo verso la fine di settembre il numero di nuovi contagi cominciò a preoccupare. Per l’intero mese di ottobre il governo Conte varò misure via via più stringenti per contenere la diffusione.
L’opinione pubblica, più accomodante durante il primo lockdown, fu invece feroce. Il numero di nuovi contagi saliva, ma non quello delle ospedalizzazioni. Quando anche le ospedalizzazioni incominciarono a salire, non salivano i morti. Quando anche i morti salirono, la situazione era fuori controllo.
Durante l’estate, infatti, si era diffusa l’idea che il virus fosse cambiato: una variante meno aggressiva aveva preso il sopravvento, il virus era clinicamente morto, ora lo sappiamo curare. Queste affermazioni, senza fondamento, giravano quotidianamente.
Non solo: le comprensibili preoccupazioni economiche divennero sempre più ingombranti. La strategia adottata dal nostro paese durante la prima fase era stata accusata di contribuire a bloccare l’economia- insieme a noi solo la Spagna chiuse le fabbriche.
Lungi dall’essere critiche ignorabili, queste si basano sull’idea che esista un trade-off tra salute e economia o salute e libertà civili.
Quando infatti discutiamo di restrizioni non parliamo di una scelta puramente scientifica. Si tratta di una scelta politica. Una scelta politica da cui dipendono vite umane, come abbiamo visto in India e in Brasile. Ma sempre una scelta politica.
Ma esiste davvero un trade-off di questo tipo?
Perché dobbiamo eliminare il virus
In un recente studio pubblicato su The Lancet, i ricercatori e le ricercatrici hanno confrontato vari indicatori nei paesi che hanno seguito una strategia di eliminazione e quelli che ne hanno seguita una di mitigazione. I trade-off prima riportati non hanno trovato riscontro nella realtà. Quei paesi che hanno seguito una strategia di eliminazione hanno visto non solo un minor numero di morti per milione di abitanti. Sul lungo periodo anche gli indicatori relativi all’economia e alle libertà civili sovrastano quelli dei paesi che hanno optato per la mitigazione.
Questo tipo di misure, però, deve tener conto di due aspetti. Il primo, ancora una volta, è l’esponenziale. Il tempo che intercorre tra l’infezione e la notifica è di circa 10 giorni. In Emilia Romagna ad agosto il tempo di raddoppio dei casi era di 8 giorni. Questo fa capire quanto possa essere pericoloso parlare di misure proporzionali: abbiamo una fotografia dell’andamento del virus vecchia e quando ci accorgiamo che la situazione è grave, non ci sarà nulla da fare se non chiudere e contare i morti.
Sposare una strategia di eliminazione significa agire repentinamente non appena il tasso di positività supera il valore ottimale per il tracciamento.
Questo è infatti il secondo punto: il virus non se ne andrà. Anzi: è possibile che non se ne andrà nemmeno coi vaccini. Per questo, come hanno fatto Corea del Sud e altri paesi orientali, sarebbe stato necessario implementare un sistema di testing and tracing massivo, in modo da scovare il virus casa per casa.
Il nostro paese, come ha recentemente scritto Antonio Scalari per Valigia Blu, avrebbe potuto eliminare il virus durante l’estate scorsa, quando grazie al lockdown primaverile i casi erano una manciata. Si è scelto di negare la realtà e tornare alla normalità.
Forse oggi è troppo tardi per implementare una strategia di eradicazione aggressiva- come ha scritto Lorenzo Ruffino per Pagella Politica riguardo alla strategia Zero Covid. Significherebbe un lockdown lungo per far scendere il numero di casi attorno ai mille al giorno.
Non c’è una soluzione semplice al problema. Se da una parte oggi implementare questo tipo di strategia sarebbe impossibile, visto l’umore della popolazione, il rischio è che l’estate si trasformi in una tragedia prima di tutto sanitaria (per il numero di morti) e poi economica.
Se la situazione epidemiologica dovesse precipitare, ne sarebbe compromessa anche la stagione turistica, che ha un indotto economico notevole.
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