Benessere

“Per la salute mentale spendiamo meno della metà di Francia e Germania”

9 Ottobre 2020

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), il peso globale dei disturbi mentali continua a crescere con un conseguente impatto sulla salute e sui principali aspetti sociali, umani ed economici in tutti i Paesi del mondo. Quando si parla di disturbi mentali, però, non si parla solo di disturbi psicotici (come la schizofrenia, il disturbo schizofreniforme, il disturbo schizoaffettivo, il disturbo delirante, il disturbo bipolare), ma anche di quelli dell’umore, come la depressione, i disturbi d’ansia, e poi l’anoressia, la bulimia, i disturbi da abuso di sostanze e di alcol. Queste patologie si presentano in tutte le classi d’età, sono associate a difficoltà nelle attività quotidiane, nel lavoro, nei rapporti interpersonali, e sono all’origine di elevati costi sociali ed economici per le persone colpite e per le loro famiglie.

I dati dell’Oms ci dicono che nel mondo il 10-20% di bambini e adolescenti soffre di disturbi mentali e che la metà di tutte le malattie mentali inizia all’età di 14 anni e tre quarti comincia entro i 25 anni; diventa così fondamentale il ruolo della prevenzione e conoscenza di questo “mondo”, superando luoghi comuni e tabù. Le persone nel mondo che vivono in uno stato depressivo sono oltre 300 milioni, con un aumento del 18% rispetto al decennio 2005-2015, si legge  nel “Depression and Other Common Mental Disorders“. A pesare spesso è la mancanza di un supporto qualificato alle persone con disturbi mentali che, per paura dello stigma sociale legato alla propria patologia, rinunciano ad accedere alle terapie che potrebbero aiutarle.

E in Italia? Secondo la fotografia dell’Oms il nostro Paese si attesta intorno al 5,1%, con un numero assoluto di 3.049.986 casi. L’Istat ci racconta invece che sono due milioni e mezzo gli italiani che soffrono di disturbi d’ansia ma i dati sono del 2017. Il 33% delle persone di età compresa fra 18 e 25 anni ha sperimentato il panico. Dieci milioni di italiani, prevalentemente donne, lo ha vissuto almeno una volta. La depressione è il disturbo mentale più diffuso: sono più di 2,8 milioni (5,4% degli over 15 anni) le persone che ne hanno sofferto nel corso del 2015. I costi sociali ed economici di questa patologia in Europa sono stati stimati nell’ordine dell’1% del Pil. L’Oms stima che nel 2020 la depressione sarà la causa principale di assenteismo dal lavoro e nel 2030 sarà la malattia più diffusa. Più del cancro, più delle patologie cardiache, più dell’Alzheimer.

Riconoscere l’ansia, gli attacchi di panico e la depressione come malattie sociali e migliorare la qualità della vita di milioni di cittadini sono gli obiettivi di un disegno di legge intitolato “Disposizioni per il riconoscimento del disturbo depressivo e dei disturbi d’ansia come malattia sociale” e messo a punto dal vicepresidente dei senatori di Forza Italia, Massimo Mallegni, che ha lanciato un appello proprio su queste pagine affinché l’iter si velocizzi e non si impantani tra i litigi della maggioranza. Il ddl è composto da un solo articolo, è menziona i disturbi da Attacco di Panico (DAP), il disturbo d’ansia generalizzata (DAG), la fobia sociale, il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) e il disturbo post traumatico da stress (DPTS) e la depressione clinica.

Per la seconda puntata di questo nostro viaggio nel mondo dei disturbi mentali abbiamo intervistato il professor Claudio Mencacci, medico psichiatra, Presidente della Società Italiana di Neuropsicofarmacologia e Past President della Società Italiana di Psichiatria. Mencacci è Direttore del Dipartimento Neuroscienze e Salute mentale dell’ASST Fatebenefratelli – Sacco di Milano e da sempre è impegnato nella ricerca e nella cura delle principali patologie mentali: ansia, depressione, disturbi panici e disturbi bipolari. Unisce alla ricerca e all’attività clinica un’approfondita conoscenza della psico farmacologia integrata con la psicoterapia.

Claudio Mencacci

Attacchi di panico, ansia, fobia sociale, disturbo ossessivo compulsivo, post traumatico da stress e depressione clinica: possiamo definirle malattie mentali? Cos’hanno in comune? 

Nei primi casi possiamo sicuramente parlare di disturbi mentali ma la vera domanda è più che altro che cos’hanno in comune. Quello che hanno in comune questi disturbi è che generano delle disabilità: si pensi solo al fatto che depressione maggiore viene considerata la più grave causa di disabilità fra tutte le malattie e il maggior caso di disabilità tra le malattie croniche. Il tema infatti è proprio la perdita e la riduzione delle componenti relazionali, lavorative, affettive e una conseguenza non solo sulla qualità di vita ma anche per certi versi sulla quantità di vita dell’individuo che ne soffre. Una persona, soprattutto affetta da depressione, ha aumentati rischi di avere delle patologie in comorbidità come quelle cardiologiche, metaboliche, immunitarie. Per chi invece ha delle forme nelle quali prevale la condizione d’ansia, come il panico e la fobia sociale, si presentano delle comorbidità con aumento della pressione arteriosa e problemi di utilizzo di alcol e sostanze stupefacenti. Le persone che soffrono di ansia cronica spesso fanno anche uso di alcol. Ci troviamo quindi di fronte a condizioni che ne trascinano dentro altre che riguardano qualità e quantità (indirettamente) di vita.

Cosa ne pensa della proposta di legge di riconoscerle come malattie sociali? Oggi chi soffre di queste patologie non ha diritto a nessun aiuto?

La proposta fa una fotografia del nostro paese e non posso che condividerne l’importanza, sia da un punto di vista sociale che per la salute pubblica. Tutte queste condizioni impattano pesantemente sulle funzioni, a seconda dell’età, scolastiche, lavorative e relazionali della persona in maniera importante, tanto da essere considerate, soprattutto nell’area della depressione, come uno dei maggiori costi sociali per mancata ricerca di lavoro e per perdita di lavoro, o giornate lavorative, anche dei caregiver coinvolti (coloro che si prendo cura del malato; ndr). Il tema del riconoscimento sociale vorrebbe dire sia un riconoscimento da parte del Sistema Sanitario Nazionale ma anche di quella parte supportiva delle associazioni. La stragrande maggioranza delle assicurazioni private non riconosce nessuna di queste patologie. Questo è un ulteriore segno di discriminazione di chi soffre di questi disturbi che in realtà sono alla stregua degli altri su base biologia e non esclusivamente emozionale. La legge andrebbe a rinforzare quel mandato importante dato alla salute mentale. La salute mentale viene finanziata in media nel nostro paese intorno al 4% e rispetto all’andamento europeo è pochissimo. Francia e Germania hanno un budget intorno al 10 o 15%. Fra le persone che consideriamo sofferenti di un disturbo di ansia (che non è l’ansia transitoria o da performance) parliamo di 8 milioni di persone. Quando parliamo di persone che soffrono di depressione ci muoviamo intorno ai 3 milioni, di cui oltre 1 milione con forme maggiori. Siamo di fronte a uno scenario di una patologia che ha un impatto sull’individuo, sulla famiglia e sulla società molto alto.

Come mai oggi nelle patologie invalidanti riconosciute dallo Stato sono inserite altre malattie psichiche e non queste?

Sono state considerate alla stregua di un disagio psicologico e non di un disturbo mentale. Un conto è avere un rialzo febbrile a 37 e 2 e un conto è averlo a 40. Devono essere considerate durata e intensità del disturbo. Un conto è avere un’ansia modesta e transitoria e un conto è averla tanto che mi impedisce interazione, lavoro, relazione. Fondamentalmente aldilà della schizofrenia, del disturbo bipolare, e parte della depressione ma in maniera marginale, tutto il resto non è stato mai considerato proprio perché l’esclusione del disturbo psichico è stata sistematica per moltissime motivazioni legate al problema dello stigma.

Perché la depressione colpisce le donne con una frequenza doppia rispetto agli uomini?

Questo è un dato accertato, appartiene alla medicina di genere, che è un modo per fare indagini diagnostiche e impostare terapie che tenga conto delle differenze di genere. Tra le malattie a maggiore espressione femminile vi sono l’ansia, la depressione, parte dell’insonnia oltre ad altre patologie tipo emicrania, disturbi post traumatici da stress… Il motivo è legato a ragioni biopsicosociali: a livello biologico per la depressione il motivo è la condizione ormonale della donna, tanto che tra bambini e bambine l’insorgenza della malattia si differenzia con l’arrivo del menarca e rimane per tutto l’arco della vita ormonale della donna nel rapporto 2,3 a 1. La parte psicosociale della questione è da ricercarsi nella maggiore capacità di comunicazione del genere femminile. Le donne mettono in moto comportanti di help behaviour, di maggiore capacità di ricerca di aiuto, non a caso sono loro che spesso portano a curare l’intera famiglia. Inoltre hanno una maggiore esposizione a situazioni di stress, violenza, ma anche al dover svolgere funzioni “multitasking”. Il “biologico” pesa in maniera importante ma pesa molto anche il resto.

Prima accennava allo stigma che colpisce chi è affetto da disturbi mentali. Spesso le malattie mentali, o meglio, i sintomi che ne derivano, vengono ancora relegati alla “questione di carattere”.  Perché sono un tabù?

A volte questi disturbi vengono ridicolizzati e se ne parla solamente quando succedono gravissimi fatti di cronaca alimentando per cui lo stigma che il disturbo mentale appartenga a persone violente. I dati però sono chiari e dicono il contrario: le persone che soffrono di disturbi mentali sono esposte quattro volte di più all’aggressione altrui. Ci sono ancora un sacco di luoghi comuni su queste persone: l’imprevedibilità, l’instabilità, l’inaffidabilità, la violenza verbale o fisica, l’aggressività. Per la depressione abbiamo avuto a che fare con delle problematiche che culturalmente venivano da millenni di storia. La persona depressa veniva apostrofata come pigra, indolente, accidiosa per usare un termine ecclesiastico. Soltanto nel 2004 Giovanni Paolo II disse che la depressione è una malattia biologica che va curata, decretando la fine di questo “pregiudizio”. Si tratta di un cambiamento che ha dovuto occupare parti importanti della storia della nostra civiltà, queste manifestazioni le chiamavamo un tempo sine materia: la polmonite si vedeva, la depressione non si vedeva. Oggi però questi disturbi li vediamo di più e abbiamo più strumenti per riconoscerli ma il percorso sarà lungo affinché chi soffre di queste patologie possa essere equiparato a chi soffre di asma cronica, diabete o altre malattie. Dato che ciascuno di noi sperimenta che cos’è l’ansia, la demoralizzazione, la tristezza, molte persone si prendono il  diritto di banalizzare le patologie. Chi soffre di ansia, depressione però questa esperienza la vive ad un’intensità cento volte superiore rispetto a chi non la sperimenta. Così spesso queste persone sono ignorate, non considerate. I depressi non chiedono aiuto, chi soffre di ansia lo fa di più. Non sempre però c’è la giusta attenzione anche quando si chiede aiuto. Un attacco panico la persona se lo ricorda per tutta la vita e può cambiarne radicalmente le scelte e la qualità della vita. La sua vita si modella intorno a quell’episodio e alla paura che si ripeta.

Qual è il modo migliore per curare queste patologie? A chi deve rivolgersi (ndr; psicologi vs psichiatri) chi ne soffre e ha la fortuna di prenderne consapevolezza?

Rivolgersi alle strutture del Servizio Sanitario Nazionale e agli specialisti. Qui però devo essere chiaro: gli specialisti si chiamano psichiatri. Poi, per le forme meno gravi di questi disturbi intervengono con grande competenza anche i colleghi neurologi, la medicina generale e i colleghi psicologi. Ciascuno deve sapere fino a che livello di intensità può arrivare con le competenze adeguate. Se i disturbi hanno un’intensità moderata o grave è indispensabile lo specialista psichiatra che a sua volta potrà avvalersi di altre figure supportive come lo psicoterapeuta, il riabilitatore. Oggi, queste forme supportive, psicoeducazionali fanno parte delle cure che non sono solo farmacologiche. Le cure farmacologiche sono in combinazione con terapie psicologiche o psicoterapiche e anche altre modalità di attivazione delle risposte dell’individuo, ad esempio l’attività fisica, l’esposizione alla luce, l’interazione sociale, considerando la fascia di età della persona. La medicina generale e le farmacie giocano un ruolo importante nell’indirizzare l’individuo e poi monitorare e seguire le cure. Ci sono tante difficoltà, luoghi comuni sulla salute mentale, sull’uso degli psicofarmaci e poca preparazione scientifica: anche noi abbiamo i nostri “no vax”.

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(Prima versione dell’articolo pubblicata il 2 dicembre 2019)

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