Benessere
Otto milioni di italiani poveri! E si gioca alle belle statuine
La precarietà, con l’incertezza e l’ansia che ne conseguono, di tanti milioni di persone non rappresentano, a quanto pare, nel panorama dell’informazione, una priorità giornalistica sulla quale edificare congetture per una battaglia ideologica. Un dato ufficiale del genere, che rivela un preoccupante aumento dell’indigenza, non costituisce in questa miserabile nazione un elemento sociale idoneo a focalizzare l’interesse degli analisti, dei critici, degli intellettuali, spesso proiettati su temi, apparentemente politici, ma ben lontani dalla contemplazione di un interesse così largamente popolare. La povertà, dunque, come argomento ipocritamente trattato dalla politica e scarsamente affrontato dalla comunicazione. La povertà come condizione di disagio per gente anonima, rassegnata e disorganizzata, che non pone nessun problema alla classe politica dominante. La povertà, come inesauribile serbatoio di scorta dei consensi che tornano utili per stabilire il primato dell’immoralità.
Eppure, l’identità di uno solo di quegli otto milioni di persone, scelta a caso e considerata nella sua singolarità, potrebbe assurgere a modello di riferimento per venire a capo delle peculiarità della restante moltitudine, e osservare semplicemente che la povertà, in questo fottutissimo paese, è sì senza ali e priva di una provvidenziale assistenza, come, appunto, appare nelle suggestive sequenze di “Miracolo a Milano”, di De Sica, ma conserva la dignità che le viene dall’abitudine di vivere di essenzialità, l’orgoglio supportato da un distinto grado culturale, un alto senso di civiltà che si regge su un’educazione tramandata da una generazione all’altra.
Ogni povero, estratto da quegli otto milioni di anime, potrebbe richiamare, per spessore morale e sortilegio, una peculiare figura letteraria di Tolstoj, o Dostoevskij, oppure rientrare, idealmente, in dipinti ispirati dalla privazione più sintomatica, come “Poveri in riva al mare”, di Picasso, o “Le muse inquietanti”, di De Chirico. Ogni povero, di quegli otto milioni di coscienze, continua a tenersi stretto alla speranza, puntualmente tradita, di migliorare le proprie condizioni. Ognuno, di quegli otto milioni di sventurati, saprebbe cosa fare per l’altro se fosse un politico al comando. In verità, la povertà, fuori dalla poesia e dalla narrazione, è solo dolore, tormento, rinuncia. L’inganno, manco a dirlo, consiste nel fingere di porre rimedi per eliminarla, decontestualizzando un malessere reso necessario dai furbi di ogni tempo. Di una cosa, infine, possiamo essere certi: in un paese dove i poveri abbondano è altrettanto consistente la pezzenteria intellettuale del ceto dominante.
Devi fare login per commentare
Accedi