Benessere
Non c’è solo Putin: anche l’Italia è a rischio “democratura”?
L’omicidio di Boris Nemtsov e le ultime vicende russe ci hanno portato a riflettere sulle democrature e sui rischi concreti non solo per Turchia, Ungheria, Polonia ma anche per i nostri paesi europei. Da un punto di vista globale, la democrazia appare a rischio nell’intero pianeta, dalla Cina agli Stati Uniti. Vale la pena dunque guardare al nostro paese per considerare gli indicatori di un’evoluzione autoritaria, considerando il sostrato culturale che essa comporta. E’ infatti a livello di atteggiamenti, timori ma anche mitologie locali che è possibile scorgere l’humus valoriale, o meglio avaloriale, su cui si edificano tale sviluppi. Vigilare attenti su come stiamo evolvendo e stanno crescendo i nostri figli, con quali orizzonti di pensiero. Dobbiamo formula tesi e ipotesi, chiedendoci, in primo luogo, quali siano gli ingredienti fondamentali del neologismo democratura, crasi di democrazia e dittatura, democrazia apparente, dittatura occulta.
Alla base delle svolte autoritarie ci sono indubbiamente dei presupposti psicosociali, uno stato di malessere che a sua volta si collega ad appelli alla sicurezza e al ritiro regressivo nel passato, nelle buone tradizioni, nei valori semplici e squadrati ‘di un tempo’. Se ci fermiamo a questi fattori, dobbiamo purtroppo dichiarare il nostro paese a rischio. L’82 % degli italiani afferma di non vedere il futuro in modo positivo e di sentirsi minacciato costantemente dai pericoli. Un altro dato inquietante richiama l’appello a soluzioni difensive, legate più alla forza dell’autorità che alla autorevolezza. Nella scala della fiducia nelle istituzioni infatti le forze dell’ordine e l’esercito svettano ai primi posti, molto prima di altre istituzioni di stampo democratico quali la magistratura, i media, il parlamento. D’altra parte, sono gli italiani stessi a dichiarare la loro propensione autoritaria, dichiarando, al 60%, che ‘per risolvere il paese bisognerebbe concentrare il potere nelle mani di pochi’. Un’affermazione che gode di un consenso ecumenico, dal nord al sud, con poche marcature che riguardano le fasce sociali meno scolarizzate e istruite.
Una nota curiosa: sono più autoritari i ‘single’, come a dire che la famiglia costituisce la prima ‘agenzia democratica ’in cui l’articolazione dei codici affettivi, se non dei ruoli, innesta un principio di divisione e controllo dei poteri. E’ interessante anche osservare come proprio la crisi della famiglia, e la scomparsa di questi ruoli (in particolare la confusione tra codice materno e paterno e la prevalenza del figlio unico) possa aver stimolato a sua volta questa deriva culturale autoritaria. D’altra parte, ed è meglio dirlo sottovoce, questo è anche il paese in cui il consenso di principio alla pena di morte, a dispetto dei due secoli dal trattato ‘Dei delitti e delle pene’ di Cesare Beccaria, continua a essere al 53% . Uno sguardo al passato che, nonostante tutti gli sforzi di rottamazione, non riusciamo a riorientare. ‘Tenere vive le tradizioni del passato è fondamentale’ è un’affermazione ancora condivisa dalla maggioranza bulgara dell’87%, per non parlare delle tendenze xenofobe che portano il 40 % degli italiani a condividere l’affermazione per cui «In fin dei conti credo che molte delle persone di colore che si vedono in giro siano dei poco di buono».
Un filo rosso accomuna questi atteggiamenti e rimanda a una struttura verticale del potere che contrasta con la cultura della partecipazione precognizzata da tanti trattati di sociologia, da ‘la fine del potere’ di Moisès Naìm a ‘Comunicazione e potere’ di Manuel Castells, per fare solo due esempi. Se torniamo alle origini, il passaggio dal potere assoluto, dal kratos degli antichi greci, alla divisione dei poteri di Montesquieu e al potere tecnico di Max Weber disegna una tendenza storica all’eguaglianza come distribuzione dei poteri. Ma l’evoluzione sociale in corso ci dimostra che queste tendenze non sono affatto lineari e che l’ombra dell’autoritarismo si nasconde anche dietro l’apparenza più benevola. Più di tutti ci servono ancora le parole di Michel Foucault, il suo monito a scovare i totalitarismi occulti e a difendere una libertà che, ci rendiamo conto, è prima di tutto un fattore culturale. Se aggiungiamo a queste considerazioni l’osservazione empirica dell’estremo personalismo che impronta la politica italiana ormai da molto tempo, le interferenze demogogiche al dibattito pubblico, il debole ruolo del parlamento rispetto al governo, i nostri timori acquistano ancora maggior peso.
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