Benessere
Né vincitori, né vinti. E nemmeno guerrieri
Quando i medici annunciarono l’avvenuto trapianto di midollo, pensai che Mihajlovic ce l’avrebbe fatta. Pensai che quel trapianto – come accaduto a diversi altri pazienti – chiudesse fuori dall’uscio, magari lentamente ma definitivamente, la malattia. Lo credevo davvero. E lo speravo. Per Sinisa e per tutte quelle persone che, ogni giorno, affrontano tumori e leucemie. Invece la malattia ha fatto il suo orribile e terribile decorso. L’addio di Sinisa e l’ombra cupa del male – infingardo e cattivo – mi hanno fatto pensare a mia mamma. Al suo addio – per quel male infingardo e cattivo – e a come raccontiamo quelle vite strappate. Quali parole usiamo per ricordare e per dipingere la parabola di un’esistenza.
Era appena tornata da Bologna. Il tumore, un carcinoma infiltrante, era finito sotto il bisturi dell’esimio chirurgo toracico che l’aveva salutata, abbracciandola, con un largo sorriso emiliano: ‘quando torna su per il controllo, se porta un po’ di Romagna, due piade fatte per bene mica m’offendo…’. Giusto il tempo di scendere dalla macchina e via, era corsa giù al mare: d’altronde non è che capitasse tutti i giorni di vedere la spiaggia di casa, la spiaggia di Riccione, coperta di neve. quel giretto ghiacciato, appena uscita da un intervento chirurgico, forse non era ben consigliato. Ma che ci vuoi fare: quando ricapita una neve così sul mare? Caduta, quasi per celebrare il ritorno a casa. E poi, mia mamma, di carattere era così: ci si fa mica fermare da un malaccio. Per quanto brutto. No che non ci si fa fermare: si tira avanti, si seguono le terapie, si spera che sloggi. E sullo sloggiare, il malaccio, aveva anche eseguito. Per nove anni. Poi è tornato ed è rimasto. Ahimè. In tutti quegli anni di tregua, mia mamma aveva vissuto come aveva sempre fatto. In pieno. con i suoi amici, il suo lavoro, le sue passioni.
Non le ho mai sentito parlare di lotta o battaglia con il tumore, non le ho mai sentito usare la definizione di guerriera o combattente. Perché avrebbe significato dire che in una guerra, in una battaglia, c’è chi vince e c’è chi perde. Come se ci fosse un merito nel rimanere in piedi o un demerito nel non riuscirci. Le ho sempre sentito dire, vivere la vita come la si è sempre vissuta, come si è capaci. Ho visto persone affrontare la malattia con sfrontatezza e positività, altre con paura e disperazione. Ho visto sopravvivere a volte le prime e a volte le seconde perché il male è bastardo e fa quel che vuole. Contro il male non ci sono guerrieri, combattenti, vincitori, vinti, non ci sono persone più dignitose o meno dignitose nell’affrontarlo. Ci sono babbi e mamme, nonni e nonne, figli e figlie, esseri umani che vivono, amano, sperano. Tutti comunque degni.
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