Benessere
Moda o malattia? Le fobie senza segreti
E tu, che fobia hai? Come in un catalogo, il numero delle paure patologiche si è allargato enormemente negli ultimi tempi. Una volta erano famose l’agorafobia, la paura dei luoghi aperti, e la claustrofobia, che è esattamente l’opposto, ma oggi ce ne sono di “nuove” come la tripofobia, o fobia dei buchi, e la clinofobia, o timore di sdraiarsi e addormentarsi. L’ultima arrivata, di cui i giornali hanno parlato parecchio, è la fobia del campanello: molti giovani americani proverebbero paura a sentire il suono del citofono perché non presagirebbe nulla di buono, visto che ormai, quando un amico passa a prenderti, piuttosto ti manda un messaggio Whatsapp.
Ma come mai questo apparente dilagare? È la nostra società o lo stile di vita che costituiscono un terreno fertile? Sono i giovani di oggi ad essere più fragili? Oppure queste fobie ci sono sempre state ma non erano diagnosticate correttamente? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Emanuela Mazzoni, psicologa specializzata in counseling relazionale e coautrice del libro “La Scienza Relazionale e le malattie mentali”, di cui il professor Vincenzo Masini è autore principale, edito da Franco Angeli nella collana Sanità, volume che parla anche dell’oggetto della nostra intervista.
Dottoressa, le fobie sono davvero in aumento?
«Può darsi che i nostri giovani siano più impressionabili di quelli di ieri, oppure che non abbiano sufficienti difese, oppure che il mondo stia diventando un luogo talmente pieno di stimoli pericolosi che la prima risposta adattiva è quella di chiudersi.
Ciò attraverso cui si può affrontare e anche prevenire l’installarsi di una fobia è insegnare alle nuove generazioni a difendersi quando possibile o, ancora meglio, insegnare loro la capacità di rielaborazione dei propri vissuti».
Chi sono le persone che soffrono di questi disturbi?
«Sono persone con una struttura di personalità ipersensibile e sono estremamente vulnerabili agli stimoli negativi che ricevono, oppure hanno vissuto uno stimolo talmente dirompente che non era possibile rimanere indifferenti. In questo senso tra le peggiori esperienze a cui sottoponiamo le giovani generazioni c’è il dilagare dei film dell’orrore, che o desensibilizzano o ipersensibilizzano la persona su certi temi, come ad esempio i pagliacci assassini, da cui può derivare la coulrofobia o paura dei clown».
Qual è la vera natura delle fobie?
«Desidero partire da un quadro più ampio, in modo da essere più chiara. I disturbi mentali si suddividono in tre grandi categorie: del pensiero, dell’attivazione e dell’umore. Le fobie sono molto più vicine all’ambito dell’umore piuttosto che a quello dell’ansia – a meno che la fobia non sia la copertura di un’ossessione – tanto che la comprensione della natura dello stato fobico è possibile facendo ricorso alla propria capacità di empatia emozionale.
In tal senso le fobie sono in realtà gli oggetti della fobia, ovvero i luoghi in cui la fobia si colloca, il modo in cui essa si esplicita nella realtà concreta. Essi nascondono uno stato interiore ben più complesso e doloroso, che ha la necessità di un tempo per essere narrato e compreso empaticamente dal terapeuta.
La natura dello stato fobico è la stessa di una prigione in cui la persona si sente collocata dentro un “buco” (io che sono tendenzialmente aracnofobia, l’ho sempre visualizzata come uno di quei buchi nei muri dentro ai quali si nascondono dei grossi ragni neri), da cui non c’è nessuna uscita».
Fino a che punto le paure patologiche condizionano le nostre vite?
«Spesso le persone con fobie, pensano che queste non si possano risolvere ed imparano semplicemente a conviverci e ad evitare le situazioni in cui essa si manifesta. Così facendo la prigione interiore si trasforma in “impossibilità” oggettiva.
Ad esempio la fobia dei tunnel fa sì che la persona eviti alcune strade, poi alcuni sottopassi, poi anche i portici, non usi l’automobile, la bicicletta, il motorino e poi neppure più esca a piedi se non in percorsi conosciuti e “sicuri”. È così che la fobia da puntiforme, nel senso di concentrata nel solo oggetto, diviene il principale elemento sulla base del quale confrontare la fattibilità di ogni esperienza. Si passa dal non poter fare solo una cosa, al fatto di precludersene mille altre. Così facendo la paura dilaga negli spazi relazionali delle persone e la qualità della vita si riduce drasticamente. Come se la libertà della persona si ritraesse man mano che la fobia avanza».
Come si può combattere le proprie fobie?
«Le persone che soffrono di fobie difficilmente ne parlano ed anzi evitano l’argomento anche con se stessi, abituandosi a vivere una vita molto limitata e pensando che ormai per loro sia normale così.
Con ogni essere umano, un bravo terapeuta può rintracciare l’evento che ha scatenato la fobia, o l’avvenimento a cui essa si è associata. Esso è sempre un momento in cui nella persona è rimasta impressa un’immagine, come accadeva alle vecchie pellicole fotografiche, un suono o altro e a cui si è associata una forte emozione negativa che non è mai stata elaborata».
Devi fare login per commentare
Accedi