Benessere

Liberarsi dall’ipocrisia (propria e altrui)

6 Febbraio 2018

Ci disgusta, è impossibile liberarsene, ma forse difendersi si può. Parliamo dell’ipocrisia, che il vocabolario Treccani definisce come “Simulazione di virtù, di devozione religiosa, e in genere di buoni sentimenti, di buone qualità e disposizioni, per guadagnarsi la simpatia o i favori di una o più persone, ingannandole”.

All’ipocrisia saranno dedicate due giornate di studi: il convegno annuale di Prepos (Prevenire è possibile), gruppo di studio formato da psicologi, che avrà luogo il 10 e 11 febbraio a Roma.

Emanuela Mazzoni, psicologa specializzata in counseling relazionale e coautrice del libro “La Scienza Relazionale e le malattie mentali”, è una dei relatori del convegno.

L’ipocrisia è un’arte negativa? O è un modo per proteggersi come le cosiddette bugie bianche?

«Sì, l’ipocrisia è solo negativa, ma tutti noi ne utilizziamo nei nostri ambienti, almeno un po’, perché pensiamo di non poter farne a meno e anche che non sia così grave. D’altronde lo fanno tutti».

E invece?

«È il momento di prendere consapevolezza: per questo abbiamo intitolato il convegno “Affrontare l’ipocrisia e vivere l’autenticità”. Il titolo è stato scelto da Così Emilia Scotto, moglie dello studioso Vincenzo Masini (studioso recentemente scomparso (Ndr.) e co-fondarice di Prepos. Discuteremo di come sia possibile smascherare l’ipocrisia, che è, secondo una definizione dello stesso Masini “ una comunicazione che finge di essere una relazione”».

Cosa significa?

«Quando la relazione è infangata dall’ipocrisia, essa non ha più sostanza e torna a essere solo una comunicazione, senza empatizzazione di sentimento, senza poter riconoscere nell’altro l’autenticità di essere persone, di aprirsi alla vista dell’altro per ciò che si è.

L’ipocrisia si diffonde nella coppia, nell’amicizia, nelle relazioni di lavoro, nella politica, in tutte le modulazioni relazionali, ed è come una malattia contagiosa, che più si vive e più vive e si spande».

Ma se la praticano in tanti evidentemente può essere utile.

«È vero che è un modo di sopravvivere, ma come? Vivendo con quale qualità relazionale la nostra vita, che scorre così rapidamente via? L’ipocrisia è fortemente connessa all’egocentrismo e alla incapacità di sviluppare l’umiltà e di perdonare, prima di tutto se stessi».

Cioè?

«L’ipocrisia è come una maschera messa sopra ai sentimenti. Questa maschera allontana le persone dall’avere una relazione autentica con l’altro, poiché rende l’ipocrita impermeabile all’altro e quindi centrato solo su di sé ovvero egocentrico».

Eppure in politica va per la maggiore. Il classico esempio sono i cosiddetti difensori della famiglia, che spesso sono divorziati e, oltre al secondo coniuge, mantengono anche un/una amante.

«La politica è un luogo pieno di ‘giochini’ relazionali, di malizia, seduzione, per l’accumulo di denaro, mentre dovrebbe essere il luogo in cui si esplica l’arte della conduzione del governo di un gruppo di persone. In questo contesto l’egocentrismo è spesso rinforzato dalla visibilità, e si declina in personalità narcisistiche che, cristallizzando l’avidità, la seduzione, scivolano verso l’istrionismo, il tecnicismo, verso l’anaffettività, e così via.

In ogni caso mantenere relazioni di ipocrisia costa molto in termini di energie psichiche, energie che se investite in una sola volta in un punto preciso della relazione, possono attivare quel salto “quantico”, tale da far cambiare lo stato relazionale e far fare un balzo in avanti nel miglioramento della propria vita».

Quindi vivere senza ipocrisia è possibile?

«Sì, perché il fondamento dell’ipocrisia è un disvalore e l’arma per combatterla è la dichiarazione dei valori che si sono consolidati in ciascuno di noi a seguito delle nostre esperienze. Ovvero io posso ad esempio, portare avanti il valore della trasparenza, ma solamente se so anche dichiarare, prima di tutto a me stesso, ma poi anche agli altri, le volte in cui non sono stato affatto trasparente, pentirmi e dispiacermi di non essere riuscito a farlo e trovare dei modi per sviluppare la trasparenza.

In questo senso la storia personale non è d’inciampo e se, ad esempio, sono divorziato, risposato ma ritengo il matrimonio un patto sacro, questo è credibile solo se posso narrare la mia storia, avendo la forza e l’apertura di raccontare quanto sono stato infelice, quanto ho sofferto, oppure quanto è stato per me importante uscire da un certa relazione di dipendenza per scoprire invece cosa significava una relazione di coppia in cui ci si sostiene a vicenda. L’autenticità è data dalla capacità di raccontare chi sono, cosa mi hanno insegnato le esperienze che ho vissuto e, di conseguenza, dare un nome ai valori in cui credo».

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