Benessere
La Giornata Nazionale per commemorare le vittime del Covid-19 non ci salverà
Non vogliamo sottrarci al compito di ricordare. Per questo abbiamo istituito la Giornata Nazionale per commemorare le vittime del Covid-19.
E l’abbiamo affidata alla retorica più facile, quella della promessa: non vi dimenticheremo.
Esperimento già realizzato per altro proprio per questa pandemia sul modello di altri tentativi.
Domenica 24 maggio 2020 il New York Times ha messo in prima pagina un elenco di mille morti di coronavirus: nome, età, luogo, poche parole per ricordare chi erano. A volte si dice che lavoro facevano; a volte si ricorda una loro peculiarità, una caratteristica, un’idiosincrasia . E’ una scelta che assomiglia alle undici pagine di annunci mortuari apparse su L’Eco di Bergamo il 13 marzo e riprese dalle agenzie di stampa mondiali nei giorni in cui i media planetari parlavano del coronavirus in Italia, o a quello che si vede in certi musei della memoria. Si incontra qualcosa di simile nel National September 11 Memorial and Museum, che è uno dei probabili modelli cui la prima pagina del New York Times si ispira. In alto, dove sorgevano le Torri, ci sono due piscine nere con i nomi dei morti scritti sul bordo; poi si scende sottoterra, dov’erano le fondamenta, si passa attraverso immagini e reliquie, si vede la parete con la citazione del poeta Virgilio che promette ricordo eterno e si arriva ad una sala coperta dalle foto dei morti. Al centro sorge un cubo nero aperto su due lati. Dentro il cubo vengono proiettati i nomi delle vittime, la data di nascita, la data di morte, un sintesi della biografia, qualche foto o video, la voce fuori campo di un familiare o di amico che dice qualcosa.
A Bergamo hanno dato vita al Bosco della memoria che sarà inaugurato proprio il 18 marzo.
Suonerà per l’inaugurazione il grande trombettista Paolo Fresu che così ha commentato la sua partecipazione: «[Un bosco] È prendersi cura di sé e degli altri. Un albero non si pianta a caso, bisogna curarlo. In questo momento prendersi cura dei semi nuovi da cui nasce un albero offre una metafora straordinaria di quanto sia necessario preoccuparsi dell’ambiente e della vita. E quando un albero si pianta per qualcuno che non c’è più dà l’idea del passaggio tra vecchie e nuove generazioni, è il modo più bello per ricordare e lasciare il testimone a chi rimane».
Ecco forse proprio l’immagine del bosco potrebbe aiutarci a sottrarre la celebrazione della giornata dal rischio dell’enfasi di propositi irrealizzabili: non vi dimenticheremo? Ma se non vediamo l’ora di tornare alla nostra vita, alle nostre feste, ai nostri spensierati spritz serali.
Il sole e la morte, scriveva La Rochefoucauld, non si possono guardare fissamente.
Il virus ha premiato l’isolamento individuale simbolo della nostra cultura dell’autosufficienza e ha castigato la coesione sociale, la responsabilità civica, gli unici mezzi per altro che possono salvarci dalle apocalissi della storia.
Ma il re è nudo ben oltre tutti i buoni propositi nei confronti di chi è morto a causa del virus.
Lo dimostra il panico (figlio dell’egoismo) di fronte alle notizie che riguardano la campagna vaccinale.
Un’amica ha scritto sulla sua pagina facebook, il giorno del ricevimento della seconda dose: «A tutti gli altri vorrei dire di non lasciare che vinca la paura, privata, singola, intima e legittima. Non deve la paura avere la meglio sulla lucidità, sulla ragione, sul bene della collettività, che tanto la possibilità che un evento avverso al vaccino possa occorrere è pari a quella che una tegola ci caschi in testa camminando sul marciapiedi (6 milioni di somministrazioni di Astrazeneca, 30 reazioni avverse gravissime e non necessariamente correlate da nesso causale)
Penso però che se lasciassimo vincere la paura quella stessa tegola avrebbe molte più probabilità di colpire noi, infrangersi in mille schegge e colpire chiunque sia a tiro in una raffica di proiettili incontrollabile.
Ho parlato di paura legittima, lo sottoscrivo.
Emozione atavica, incontrollabile, primitiva e cieca. Accendiamo la luce della ragione, affidandoci a chi ha davvero cognizione. Aiutiamoli ad aiutarci e vacciniamoci, per il bene di tutti».
“Siamo tutti sulla stessa barca”: lo scriviamo sulle lenzuola da esporre sui nostri balconi, ma alle prime onde vale sempre e comunque l’eterno “si salvi chi può”.
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