Benessere
La dittatura del virus
Eccoci qua: sembrava impossibile, ma ci siamo cascati di nuovo. I grafici parlano chiaro: la curva del contagio in Italia ha cambiato passo, sta crescendo molto più velocemente e in poche settimane potremmo ritrovarci ai livelli dei mesi più duri della fase uno.
Credevamo di essere più bravi degli altri; eravamo, ahimè, soltanto un po’ in ritardo, dato che abbiamo riaperto le varie attività (tra cui le scuole) con più cautela.
Qualcuno inizia a temere un nuovo lockdown, che viene negato con insistenza sospetta da tutti i responsabili tecnici e politici; qualcun altro organizza irresponsabilmente manifestazioni di protesta contro una presunta dittatura sanitaria, che sarebbe messa in atto dal governo col pretesto dell’epidemia.
Per essere chiari, qui di dittatura ce ne è solo una: quella del virus Sars-CoV-2. E’ lui che sta limitando le nostre libertà senza chiederci il permesso; è lui che ci impone la propria volontà con la forza e usa la violenza della malattia per piegarci. Ma, allora, è contro il virus che dobbiamo ribellarci; non contro i governi, che tentano goffamente di rallentare la sua avanzata impetuosa, o contro gli specialisti in affanno, che si sforzano di elaborare strategie per combattere un nemico quasi sconosciuto.
Qualche mese fa, il nostro avversario ci ha colto di sorpresa e abbiamo dovuto battere in ritirata. Il lockdown è stato l’unico modo possibile per salvarci: abbiamo lasciato al virus campo libero, rinunciando a gran parte della nostra quotidianità. Anche lui si è ritirato e ci ha concesso qualche settimana di tregua; ma bastava guardare a ciò che accadeva in giro per il mondo per capire che, presto o tardi, sarebbe ritornato.
Ora ci sentiamo messi di fronte a un dilemma impossibile da sciogliere: non possiamo chiuderci di nuovo in casa ad aspettare che la seconda ondata di infezione si spenga; ma non possiamo neppure lasciare tutto come è, permettendo al virus di circolare come sta già facendo, perché la dinamica esponenziale del contagio ci condannerebbe a un altro disastro. Fino a quando i numeri erano piccoli, il tracciamento e l’isolamento dei nuovi casi stava funzionando; ma ora i centri di prelievo delle grandi città stanno arrivando al collasso, i medici di base sono in difficoltà e la situazione sembra sfuggita di mano. Cosa fare?
C’è un’unica strada da seguire: quella di adattarci.
Dopotutto, è proprio ciò che ha fatto Sars-CoV-2: si è adattato a noi. Ha traslocato dal mondo animale a quello umano; ha imparato a diffondersi attraverso l’aerosol e a mimetizzarsi tra i nostri consueti malanni di stagione, o addirittura a scomparire nelle vie respiratorie degli asintomatici. Ha approfittato della nostra debolezza per conquistare i nostri corpi, della nostra socialità per trasmettersi più facilmente; insomma, sembra essersi modellato su misura per fregarci.
Per fregarlo, ora tocca a noi cambiare: dobbiamo modificare i nostri comportamenti e le nostre abitudini, per portare avanti la nostra vita senza permettere al virus di prenderne il controllo; dobbiamo cioè sottrargli la possibilità di diffondersi, guadagnando tempo fino a quando la scienza medica non riuscirà a fornirci le armi definitive che ci consentiranno di debellarlo per sempre.
Alcune cose abbiamo già imparato a farle. Ad esempio, durante la fase uno abbiamo in parte spostato la scuola e il lavoro dal mondo reale a quello virtuale: una scelta difficile, ma vincente, che si potrebbe mantenere in parte, creando un giusto mix che ci permetta di ridurre i rischi di contagio. Anche lo shopping on line è stato un valido surrogato per le persone più vulnerabili, che non potevano recarsi in un supermercato o in un centro commerciale; un’altra strategia efficace è stata l’introduzione delle mascherine e del distanziamento, che ci ha permesso di vivere i nostri rapporti sociali in relativa sicurezza.
Altri aspetti della nostra vita sono però più rischiosi e difficili da adeguare alla nuova realtà dell’epidemia: in particolare, tutto ciò che si svolge in un luogo chiuso, poco spazioso e areato, soprattutto se comporta l’assenza delle mascherine e l’uso della voce, oppure se tende a creare assembramenti. Alcuni sport e spettacoli, il trasporto pubblico collettivo e i servizi di ristorazione sono esempi di attività che richiedono una grande creatività per essere portate avanti con un rischio accettabile: è doveroso garantire loro un sostegno economico per farle sopravvivere fino alla primavera – quando possiamo sperare la bella stagione, i progressi della farmacologia e magari l’arrivo di un vaccino ci liberino dall’incubo.
La cosa più importante, comunque, è sentirci tutti uniti nella lotta contro il nemico più insidioso che finora ci sia capitato: non c’è, infatti, una contrapposizione reale tra la tutela della nostra salute collettiva e la garanzia delle nostre libertà più preziose o la salvezza della nostra economia. Solo se riusciremo a portare avanti queste tre esigenze di pari passo potremo davvero sconfiggere l’odiosa tirannide del coronavirus e festeggiare insieme la sua scomparsa.
(immagine da Pixabay)
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