Benessere
Il paradosso della fiducia
“Il bambino impara perché crede agli adulti. Il dubbio vien dopo la credenza”
Numerose difficoltà relative al concetto di fiducia derivano dal fatto che non sembra esserci un’equivalenza su “contare su qualcuno” e “dare fiducia a qualcuno”. Gli anglosassoni distinguono tra fiducia (trust) e la sensazione di poter contare su qualcuno(reliance), su una persona le cui qualità permettono oggettivamente di dire che si tratta di un individuo affidabile.
Senza fiducia siamo rovinati, ha detto Angela Merkel durante una conferenza stampa sulla pandemia, l’anno scorso. È proprio la fiducia quello che tiene insieme una società democratica. Ci fidiamo sempre di qualcosa o di qualcuno. Per esempio ci fidiamo che il bambino che diamo in custodia sia trattato bene, che qualcuno tenga per sé un segreto, che porti a termine un compito in modo adeguato. La fiducia rende possibili molte cose, genera collaborazione, crea legami tra le persone, però allo stesso tempo ci rende dipendenti, ci espone, ci rende vulnerabili.
La fiducia ha quindi due volti, uno amichevole e uno preoccupante. Da un lato ci piacerebbe offrirla liberamente, dall’altra ne abbiamo paura. Desideriamo la fiducia, addirittura la promettiamo, ne lamentiamo la scomparsa, però non vogliamo fidarci proprio per sempre, ci tiriamo indietro e cerchiamo di mantenere il controllo. È un po’ come se con la fiducia fossimo in situazione di doppio legame: ne abbiamo bisogno oggi più che mai, perché sono aumentate le reti e le dipendenze in cui ci muoviamo, però allo stesso tempo non vogliamo averne bisogno, la dosiamo con attenzione e la trattiamo con ambivalenza.
Per esaminare meglio il concetto di fiducia è utile seguire le tracce dell’ambivalenza con cui ci rapportiamo ad essa. Quando mi fido che la persona a cui lascio mio figlio lo tratti bene, o che qualcuno non vada a spiattellare in giro il mio segreto personale, sto dando qualcosa di importante (mio figlio, la mia sfera privata) in custodia ad un’altra persona. Conto sul fatto che la cosa sia stata gestita bene, cioè che l’altra parte non deluda la fiducia ricevuta.
Inoltre fa parte della fiducia anche il fatto che non dia regole precise su come vada trattato un bambino, lascio la libertà di movimento e mi fido che l’altra persona sappia o capisca fin dove può arrivare e dove no. È proprio per questo che divento vulnerabile. Non rimango lì a controllare che cosa succede a mio figlio, e questa rinuncia di controllo non deriva dal fatto che non posso fare altrimenti perché devo andare a lavorare, bensì deriva dalla mia fiducia: anche se avessi il tempo di restare, rinuncerei al controllo, perché so che la mia fiducia genera la volontà di trattare mio figlio o il mio segreto con premura e cautela. La fiducia è quindi una vulnerabilità accettata che si realizza tra due o più persone finché quelle persone possono basarsi sul presupposto che la loro vulnerabilità non sarà sfruttata o abusata. La vulnerabilità non esiste di per sé, bensì ha origine attraverso la fiducia.
Sembra che io abbia fiducia anche nella mia banca perché ho un conto aperto presso di essa. Però nel mondo in cui viviamo ci sono poche alternative all’avere un conto in banca, perciò l’esistenza di un conto dice poco a proposito della mia fiducia nelle banche. Maggiore è la libertà di movimento, più la fiducia potrà svilupparsi e maggiore sarà il suo valore. La mancanza di alternative è la morte della fiducia.
Per valutare la fidatezza altrui basta sapere che quella persona la conosco e sa che non svelerà il mio segreto a nessuno. La fiducia vicendevole è ciò che costituisce l’amicizia.
Quando lascio mio figlio all’asilo, almeno all’inizio, non conosco le educatrici e gli educatori; come fa a svilupparsi la fiducia? Dobbiamo distinguere tra fidatezza e affidabilità. Una persona è affidabile senza che questo sia in relazione alla mia fiducia. É qualcuno che svolge il suo lavoro e fa quello che deve fare. L’affidabilità non va scambiata con la fidatezza, è piuttosto legata alle regole ufficiali. La fidatezza nasce negli interstizi tra le regole, fa capolino nell’interpretazione e nell’applicazione individuale delle norme, può crescere o meno, e comunque ha bisogno di tempo.
Quando si dà fiducia, spesso è proprio questa a porre le basi perché possa esistere anche la fidatezza, perché la fiducia è una sorta di riconoscimento. Se mi sento riconosciuto con la fiducia, divento fidato e quindi pongo le basi per giustificare quella fiducia.
Non c’è nessun motivo per fidarci automaticamente degli altri, quella che stabiliamo in pochi secondi col primo contatto visivo è spesso basata su supposizioni, e sappiamo bene quanto le nostre percezioni siano influenzate da pregiudizi inconsci.
Durante le elezioni presidenziali del 2016, milioni di elettori statunitensi hanno dato fiducia a Donald Trump. Le cose sono due: o per molti la veridicità non è tra i criteri in base a cui decidere a chi dare fiducia, oppure a Trump è stata attribuita fiducia per quanto appariva. Perché non dovrei considerare autentica una persona disonesta, scaltra e inaffidabile? In un certo senso è onesto nella sua disonestà, non finge di non essere quello che non è.
Devi fare login per commentare
Accedi