Benessere

Il cancro dei famosi e quello della gente comune

17 Febbraio 2018

Il cancro è cancro, punto. Non c’è bisogno di altro per definirlo. Questa malattia è abbastanza democratica, nel senso che colpisce tutti, i “Famosi” (pochi) e gli altri (molti).
Tutti sono pazienti oncologici, tutti hanno il diritto (ma anche un po’ il dovere, se sono sopravvissuti) di raccontare il proprio cancro. Il tumore appartiene a chi lo subisce. C’è chi riesce a batterlo e chi invece esce sconfitto. Dove la parola sconfitta non è altro che il sinonimo di morte. Questa oncodemocrazia non è però ben chiara ai media, almeno questa è la mia impressione.

L’argomento è trattato in modo asimmetrico, per il tumore dei Famosi c’è un’attenzione spasmodica mentre per quello delle persone comuni c’è quasi una sorta di indifferenza.
Va sottolineato come siano gli organi di informazione a confezionare la notizia (il titolo, la posizione in home page, la foto etc..) pubblicando la confidenza/racconto/intervista/ (non esiste una definizione), non i Famosi, i quali sono i primi a ricordare, a chi legge o li ascolta, quanti siano coloro che combattono silenziosamente negli ospedali o negli iniettorati (chi li ha frequentati sa di cosa parlo).

Celebrities che descrivono la loro esperienza, magari, pensando anche al loro vicino di poltrona durante le sedute di infusione dei farmaci. In quelle stanze tutti sanno perché sono lì o perché non hanno i capelli, non c’è bisogno della parrucca né per il Famoso né per la persona comune. Poi i capelli ricrescono, nuovi e morbidi come quelli dei neonati

Tutti condividono la stessa grammatiKa, quella della Kemio. Una grammatika fatta delle stesse speranze, delle stesse inquietudini, degli stessi timori, della stessa forza.

Le terapie oncologiche sono sempre dure, dure come una lapidazione.
Ogni paziente ha la sua cura, personalizzata sulla sua patologia, e per lui quella sarà sempre la più faticosa.
Non esiste una soluzione facile per il cancro. Chi la propone è un ciarlatano.
I Famosi colpiti (che ce l’hanno fatta) vengono raccontati come se fossero degli eroi, come coloro che hanno lottato, che ci hanno creduto e che, sì, alla fine hanno vinto.
Il contesto suggerisce che loro sono sopravvissuti perché sono speciali, perché sono Famosi appunto.
Per curare il cancro non ci vuole un talento o una capacità particolare. Uno vale uno. Pertanto non si capisce il perché di questa specie di santificazione cui assistiamo.
Il cancro dei normali, dei non Famosi, invece è affrontato, e argomentato, in tre modi principali: uno è quello di raccogliere la testimonianza e di pubblicarla nel canale tematico sul cancro che ogni media (giustamente) ha, il secondo è quello di non raccontare niente di chi ce l’ha fatta, il terzo, il più tremendo, è quello di scrivere di una storia finita e basta. Questo ultimo è la descrizione di qualcuno che ha raccontato, sul web o sui social, la sua apocalisse e poi se ne è andato. La fenomenologia del RIP.
I normali si “accontentano” dei gruppi FB (dove i Famosi non intervengono per dare un sostegno), in cui il confronto esiste veramente, dove si rincorrono sensazioni meravigliose e prognosi infauste.

Non c’è nessuna ragione che possa giustificare queste differenze di trattamento della notizia, bisognerebbe fare festa, e farlo sapere a tutto il mondo, ogni volta che qualcuno sul suo referto trova scritto “remissione completa”.
Chi sopravvive al cancro, rispetto a chi ha lasciato questa terra, ha avuto una cosa sola in più: il Kulo. Sia che fosse Famoso sia che non lo fosse.
Il mio compagno di stanza non ce l’ha fatta, Francesca Del Rosso (Wondy) non ce l’ha fatta (mi ero scambiato con lei qualche mail, aveva letto un mio testo sulla malattia e mi aveva dato un suo parere) e suo marito Alessandro ha scritto un pensiero lungo e toccante sulla sua vicenda. Letizia Leviti (la giornalista di Sky che lasciò un messaggio registrato ai suoi colleghi) non ce l’ha fatta. Non ce l’ha fatta Corrado Sannucci, che scrisse un libro intitolato “A parte il cancro tutto bene”, in cui ha raccontato le sue cure per il mieloma. Il titolo, derivante da un dialogo che l’autore aveva con il suo barista (trattato bonariamente), rende molto bene l’idea di come venga percepita questa malattia da parte di chi non ne è coinvolto.
Ecco, sui media sembra di leggere, a volte, a parte il cancro tutto bene. Anzi, magari raccontano solo il lieto fine, ma non siamo in una fiaba e non sempre si finisce con il “tutti vissero felici e contenti”.
In questi giorni abbiamo sentito/letto/visto le testimonianze, ognuna con una sfumatura differente, di alcuni pazienti oncologici Famosi come Daria Bignardi, Nadia Toffa e Franco Grillini (anche lui per il mieloma).
Per loro ho il massimo rispetto, come ce l’ho per tutti quelli che vivono e hanno vissuto questa esperienza terribile (i non famosi e i loro affetti, appunto) e per tutti coloro che lavorano, ogni giorno, per salvarci la vita: medici, infermieri, il personale delle accettazioni, delle mense, i volontari, i donatori, ecc.

Per battere il cancro possiamo fare tre cose:
DONARE
DONARE
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Per la ricerca.

Nel 2006 mi hanno curato il mieloma, un cancro del sangue, con un trapianto di midollo osseo da donatore non consanguineo all’Istituto dei Tumori di Milano qui c’è la mia storia

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