Benessere
Green Pass, presentato un esposto al garante della Privacy
Oramai fa parte del nostro quotidiano. Bere un caffè al bar, viaggiare su navi, aerei, treni, pullman, trasporto pubblico locale o regionale, funivie, oppure accompagnare e assistere le persone più fragili e care nelle strutture sanitarie, ma anche accedere ai luoghi di lavoro, ai concorsi, assistere a lezioni in presenza e inoltre accedere a eventi, cultura, spettacoli, sport, benessere, discoteche, ristorazione, alberghi come viaggiare in Europa e rientrare in Italia, è vincolato al fatto di possedere o meno il Green Pass.
Di cosa si tratta
Il Green Pass è una certificazione in formato digitale e stampabile, emessa dalla “Piattaforma nazionale del Ministero della Salute”, che contiene un QR Code per verificarne autenticità e validità. Dal 7 febbraio, le certificazioni di esenzione dalla vaccinazione anti COVID-19 vengono emesse esclusivamente in formato digitale. Dal 15 febbraio il green pass rafforzato (vaccinazione o guarigione) è esteso ai lavoratori pubblici e privati dai 50 anni di età, per l’accesso ai luoghi di lavoro. Inoltre dall’8 gennaio 2022 è in vigore l’obbligo vaccinale per tutti coloro che hanno compiuto 50 anni e più.
L’esposto
Dover esibire il Green Pass per continuare a svolgere tutte quelle attività che, prima della pandemia, erano considerate normali e non limitate ad un gruppo di italiani ha generato molti malumori sia da parte dei cittadini sia di esercenti e gestori che si sono ritrovati nel ruolo di controllori senza avere competenze né giuridiche né ruolo di Autorità giudiziaria. Soprattutto ne viene contestato l’utilizzo perchè limiterebbe le libertà individuali e violerebbe la privacy personale.
Venticinque avvocati – Avv. Enrico Pelino del foro di Bologna, Avv. Andrea Lisi del foro di Lecce, Avv. Diego Fulco del foro di Milano, Avv. Carola Caputo del foro di Lecce, Avv. Antonella D’Iorio del foro di Torre Annunziata, Avv. Gianfrancesco Vecchio del foro di Roma e prof. aggregato Diritto Privato e della Famiglia UNICAS, Avv. Massimo Leonardi del foro di Milano, Dott. Lorenzo Giannini consulente legale, Avv. Pasquale Cardone del foro di Torino, Avv. Tonia Corrente del foro di Bologna, Avv. Francesca Retus del foro di Milano, Avv. Clementina Baroni del foro di Reggio Emilia, Avv. Alessandra Faina del foro di Velletri, Avv. Annalisa Carnesecchi del foro di Pisa, Avv. Sabina Bargagna del foro di Pisa, Avv. Giorgia Macrì del foro di Vicenza, Avv. Maria Elena Iacopino del foro di Reggio Calabria, Avv. Ofelia Barbara Iantoschi del foro di Bologna, Avv. Cristiana Corsini del foro di Bologna, Avv. Roberto Nasci del foro di Bologna, Avv. Caterina Gozzi del foro di Reggio Emilia, Avv. Alessandro Fabbri del foro di Bologna, Avv. Ivana Wanausek del foro di Catania, Avv. Massimo Baglieri del foro di Siracusa e Avv. Roberta Carbone del foro di Bologna – lo scorso 14 febbraio hanno presentato un esposto al Garante per la protezione dei dati personali, perchè «codesta Autorità ripristini lo stato di legalità conformemente al proprio mandato istituzionale, dichiarando illecito, nella sua declinazione italiana, il trattamento di dati personali “certificazione verde” introdotto con DL 52/2021 e successivi atti normativi, e per l’effetto ne disponga la limitazione definitiva e il divieto in applicazione dell’art. 58, par. 2, lett. f) GDPR, ponendo in tal modo fine al più vessatorio, distopico e distorsivo esperimento sui dati personali finora attuato dall’istituzione della Repubblica». L’esporto è stato sottoscritto, inoltre dal “Comitato pro la legalità e l’anticorruzione OdV in memoria del giudice Ferdinando Imposimato” che ha inoltrato l’esposto chiarendo che «a nostro avviso, il GP doveva favorire la libera circolazione negli e tra gli Stati membri, come da protocolli Europei sul contrasto alla pandemia da Covid19, ma invece è stato imposto nel nostro Paese come una presunta misura di garanzia che si baserebbe nei suoi presupposti sulla difesa della salute pubblica, ma così come è strutturato finisce per violare palesemente l’art. 32 della Costituzione (oltre che i principi basilari del Gdpr), ma soprattutto, a nostro avviso, potrebbe essere venuto meno il divieto di discriminazione contenuto al cons. 36 Reg. (Ue) 2021/953 e ribadito più volte nel parere congiunto Edps-Gepd n. 4/2021».
Nell’esposto si osserva che «all’italiano non vaccinato o vaccinato con green pass scaduto è precluso addirittura qualsiasi spostamento con mezzi di trasporto pubblico, inclusi quelli locali e regionali, soggiorno in hotel, accesso a luoghi di ristorazione, pur con un tampone negativo, ossia nonostante l’evidenza diagnostica di assenza di carica virale. È una scelta non solo inesplicabile, ma anche in diretto conflitto con il regolamento padre, ossia il 2021/953, ivi cons. 36. Già solo per tale ragione codesta Autorità dovrebbe dichiararne il contrasto con il principio di liceità, art. 5.1.a) GDPR, cfr. anche l’art. 9, co. 9 DL 52/2021. Osserviamo che il medesimo strumento diagnostico è invece considerato valido dallo Stato perfino per attestare l’uscita dalla condizione di positività; introdurre questa disparità di trattamento è de plano incostituzionale. Anche ciò rileva ai sensi dell’art. 5.1.a) GDPR».
Sempre nell’esposto si evidenzia come «la durata e la spendibilità del green pass ha ricadute assai profonde sulla vita di soggetti già provati da due anni di pandemia, dunque vulnerabili, e vulnerabili comunque per definizione, come sono sempre i cittadini rispetto allo Stato. Per molti, l’attuale assetto di regole significa non poter più ottenere sostentamento per sé e per la propria famiglia, non poter addirittura più svolgere tutti quei lavori che richiedono l’utilizzo dei mezzi di linea o la partecipazione a congressi o il soggiorno in strutture ricettive o pasti fuori sede con clienti. Vuol dire vedersi addirittura impedito, per alcuni, il rientro nella casa di abitazione o la visita ad affetti lontani o addirittura l’estremo saluto, non potersi recare in una città distante, o perfino limitrofa, per accertamenti medici se non si dispone di un mezzo proprio, non poter andare al cinema con i figli. Sono messi in serio pericolo sussistenza, protezione, possibilità di cure, rapporti familiari e affettivi, ma anche in generale i più elementari aspetti sociali e la dignità stessa. Un uomo è la sua dignità. Questa asportazione di diritti umani si pone in evidente contrasto con impegni internazionali. Altre attività quotidiane, come comprare un paio di mutande, inviare una raccomandata, effettuare un pagamento postale o bancario sono rese impossibili se non di volta in volta programmando (costosi) tamponi. Le medesime attività sono invece accessibili in libertà a soggetti potenzialmente contagianti in quanto privi di tampone. Il diritto è innanzitutto proporzione e ragione. I principi di proporzionalità, necessità e rispetto del contenuto essenziale dei diritti, posti dall’art. 52 CDFUE, affiorano dappertutto nel tessuto del GDPR, a partire dalle norme più esplicite come l’art. 6 e il 23. A tanta compressione, si ritiene addirittura ormai superfluo da parte dello Stato perfino fornire spiegazione, non si parla infatti più neanche di bilanciamento: si modificano le regole e basta».
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