Benessere
Dobie Gray: la sabbia che calma la rabbia dell’oceano
Fabrizio De André, nel brano “Rimini”, canta di persone che commettono “errori di saggezza” che segnano in modo irrevocabile il loro futuro. Ogni volta che ascolto i dischi di Dobie Gray mi torna in mente questa definizione, così poetica e precisa al contempo.
Magari il suo nome vi è sconosciuto, ma certamente non la sua musica. Dopo anni di gavetta, ed altri di successo, una mattina di fine 1977 il regista Miloš Forman lo chiama per chiedergli se ha voglia di recitare la parte di Cleon nella versione cinematografica del musical hippie “Hair”, nel quale Dobie lavorava “a singhiozzo” da alcuni anni, quando non aveva altre parti teatrali interessanti o non era in tour con la propria musica.
Dobie dice che ci deve pensare, ma non richiama. Quando finalmente lo fa, a fine gennaio del 1978, Forman ha già scritturato Dorsey Wright, che negli anni 80 diventerà l’icona cinematografica della guerriglia nera negli Stati Uniti. Sicché Dobie va a vivere in una casetta ai confini di Nashville, e decide di limitarsi a scrivere canzoni che altri porteranno al successo. Fino alla sua morte, nel 2011, dopo anni di lotta contro il cancro, Dobie rimarrà uno dei cantautori di maggior successo del pianeta, sia nel soul che nel country, ed i suoi brani verranno cantati da Ray Charles, Johnny Mathis, i Beach Boys e mille altri.
“Siamo una bella combriccola, qui nel Tennessee: Larry Knechtel, Carol Kaye, Hal Blaine e me. Se non stiamo arrangiando e riscrivendo le canzoni delle grandi stelle, allora passiamo la sera con in mano una tazza di caffè ed una delle torte speciali di Carol e raccontiamo di aneddoti della storia della musica. A volte vengono anche i ragazzi di Area Code 615, che ci raccontano di come suonano le nostre canzoni nei tour di Joan Baez, Judy Collins, Linda Ronstadt e chissà chi altro. Quattro orsi che vanno in letargo l’inverno ed a caccia di miele in primavera, contenti di sé e della vita – o della musica, che poi è la stessa cosa”.
Ed è proprio così. Noi ascoltiamo il pianoforte di “Bridge over troubled water”, attribuita a Simon & Garfunkel, e non sappiamo che in verità, a suonare, sono quei quattro orsi. Lo stesso vale per tantissimi grandi successi dei Mamas & Papas, Elvis Presley, i Doors, i Monkees, Billy Joel… e potrei continuare per pagine e pagine. Costoro mandano a Dobie, Larry, Hal e Carol una cassetta con tre accordi e mezza strofa, e loro la trasformano una hit mondiale. Prendono i loro soldi e restano a casa a mangiare la torta, al diavolo il successo dei palchi. Se esistesse una storia dei musicisti più famosi che non suonavano mai in pubblico, loro quattro sarebbero tra i primi posti di sempre.
Ma fino alla telefonata di Miloš Forman le cose non stanno così. Dobie, un ragazzo texano sbarcato a Los Angeles a 20 anni che il 1960 non ha ancora raggiunto la primavera, ha alle spalle diversi brani, cantati da lui personalmente, che sono entrati in hit parade. Tra il 1962 ed il 1970 è uno dei crooners neri più famosi d’America e viene considerato il nuovo Nat King Cole. Ma lui preferirebbe lavorare in teatro, per cui alterna le due carriere in modo caotico e casuale, danneggiando entrambe. Nel 1971 si trova improvvisamente senza contratto, né da una parte né dall’altra, e decide quindi di andare a Nashville, dove incontra Norbert Putnam – il decano dei session men del folk americano (Baez, Dylan, Seeger, Guthrie etc.). Norbert e David Briggs hanno una band, gli Area Code 615, che va in tour con chiunque, di modo che le star si possano limitare a cantare e far finta di suonare la chitarra.
Dobie è disorientato, e Norberto lo lascia registrare gratuitamente nello studio degli Area Code, uno dei primi studi quadrifonici del mondo. Ne esce fuori una canzone contraddittoria, “Drift away”, che vuol dire andare alla deriva. Nella canzone Dobie parla della propria confusione e del senso di perdita di tempo ed energia “cercando la luce nella pioggia battente”. E poi parla dei ragazzi di Nashville. Dice che solo quando è con loro la musica gli sembra il vero grande fiume da cui farsi portare alla deriva…
La canzone diventa un successo mondiale e basterà, con i diritti d’autore, a fargli guadagnare quanto gli serve ed a pagare la casetta di Nashville. Sicché, dopo aver inseguito il successo fino alla fine degli anni 70, cercando inutilmente di ripetere “Drift away”, la mancata convocazione per “Hair” lo convince che si trattasse di un segno del destino: “Riattaccai il telefono e guardai Carol con degli occhi che devono averla preoccupata. Mi chiese cosa avessi e le risposi: ora so cosa fare della mia vita. Nulla. Stare qui con gli amici, strimpellare e fare merenda, come i personaggi di Alice nel Paese delle Meraviglie.
E così è andata. Quando ci ha lasciato, a soli 71 anni, Carol ha scritto: “era l’uomo più pigro e delizioso del mondo. Non era una roccia nella tempesta, ma la sabbia che spegne la violenza del mare”.
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