Benessere
Coronavirus, non rispettare le regole può costare molto caro
Di solito scrivo su temi politici, storici o culturali, ma questa volta intervengo come avvocato. Anche per il bisogno psicologico di reagire ad una sensazione di inutilità e di paralisi.
Durante questa emergenza sanitaria, dovrebbero bastare il buon senso ed il senso civico per indurci al rispetto scrupoloso delle regole di comportamento dettate per la tutela della nostra salute e della salute del prossimo.
Poiché non tutti hanno buon senso e non tutti hanno senso civico, può essere utile ricordare a quali conseguenze si può andare incontro – sul piano giuridico – contravvenendo alle regole.
Dato che sono avvocato civilista sicuramente i Colleghi penalisti potranno correggermi o integrare, ma mi pare che in ambito penale si possa segnalare quanto segue:
– Chi viene fermato e mente nell’autodichiarazione può incorrere nei reati di false dichiarazioni a pubblico ufficiale (art. 495 C.p.) o di falsità ideologica in atto pubblico (art. 483 C.p.), con pena della reclusione fino a due anni.
– Quando non ricorrono le cause di giustificazione previste, chi viola i divieti di spostamento incorre nella “contravvenzione” di inosservanza del provvedimento dell’autorità (art. 650 C.p.), con pena dell’arresto fino a tre mesi o ammenda fino a 206 euro.
– Chi provoca la diffusione colposa di germi patogeni può incorrere nel reato di epidemia colposa (art. 452 C.p.), con pena della reclusione da 1 a 5 anni, oppure, se provoca la morte di più persone, della reclusione da 3 a 12 anni.
Mentre di questi aspetti penali è stata diffusa ampia informazione attraverso i media e anche grazie alla modulistica prodotta dal Ministero dell’Interno, non altrettanto può dirsi per ciò che riguarda le possibili conseguenze civilistiche – ergo risarcitorie – delle medesime condotte sopra menzionate.
L’opinione pubblica non sembra essere consapevole del fatto che chi non si attiene alle regole può essere chiamato a risarcire di tasca propria i danni che provoca agli altri.
La norma applicabile è l’art. 2043 del codice civile: “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che lo ha commesso a risarcire il danno”.
Nel caso in esame si tratterà normalmente di fatti colposi, anche se non si può mai escludere che qualcuno, scopertosi positivo al virus, corra di proposito ad abbracciare la suocera o a starnutire in faccia al capufficio o all’avversario politico.
Il concetto di colpa è piuttosto ampio, giacché comprende negligenza, imprudenza, imperizia, inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. La colpa può derivare sia da un’azione sia da un’omissione, poiché per il nostro ordinamento non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo.
Occorre poi tenere presente che, nell’accertamento del nesso causale tra il fatto colposo ed il danno, in materia di responsabilità civile si applica un criterio probabilistico (è sufficiente che il rapporto tra fatto e danno sia “più probabile che non”) che invece non basterebbe per accertare una responsabilità penale (nel penale è richiesta la prova rigorosa “oltre il ragionevole dubbio”). Questo aspetto è di grande importanza pratica perché nel corso di una pandemia è molto difficile raggiungere la prova rigorosa che sia stato X a contagiare Y, mentre è senz’altro più facile dimostrarlo su basi probabilistiche.
Facciamo un paio di esempi pratici.
Tizio è in quarantena, ma si sente bene e ha molti impegni lavorativi per cui decide di uscire ugualmente di casa e va al lavoro, entrando in contatto solo con i colleghi che condividono con lui la stessa stanza: Caio, Sempronio e Livia. Dopo di che Tizio risulta positivo e, entro 10 giorni dall’incontro sul lavoro con lui, anche i tre compagni di stanza si ammalano. Mentre nel resto dell’azienda non si ammala nessun altro. Sulla base del “più probabile che non”, è facile che la responsabilità civile di Tizio venga accertata.
Ennio è asintomatico e non sa di essere portatore sano del virus. Dato che vive solo e si annoia, una sera va a cena dai cugini Augusto e Clelia, contagiandoli. I due cugini durante tutto il periodo erano rimasti chiusi nella loro casa con giardino, non avevano ricevuto altre visite e si erano fatti portare la spesa a domicilio facendola lasciare fuori dalla porta. Anche in questo caso, una volta accertata la positività di Ennio, è facile che basti il criterio probabilistico per accertare la sua responsabilità civile.
Naturalmente perché Tizio ed Ennio possano subire sul piano civilistico le conseguenze delle loro condotte occorre che i danneggiati si attivino e cioè che, tornando ai due esempi, i colleghi di lavoro del primo o i cugini del secondo agiscano per ottenere il risarcimento dei danni che hanno subito a causa del contagio.
Come ormai tutti sappiamo grazie ai bollettini di guerra di questo periodo, le conseguenze dannose di un contagio possono essere diversissime: da un paio di settimane di quarantena, all’influenza, al ricovero con polmonite, fino alla morte. Ne deriva che anche l’entità dei risarcimenti potrà variare da poche centinaia fino a milioni di euro.
Eccetto i fatti dolosi, il rischio di provocare danni a terzi diffondendo l’epidemia si può assicurare mediante polizze Responsabilità Civile Generale (tipo RC del Capofamiglia o RC fatti della vita privata), purché le condizioni generali non escludano i danni da contagio e/o le pandemie.
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