Benessere
Blue economy decisiva contro la crisi climatica. Lo conferma anche la UE
La UE nel suo ultimo report sulla Blue Economy, definisce decisivi nella lotta ai cambiamenti climatici, settori fondamentali legati al mare,per incentivare la produzione di energia rinnovabile e la sostenibilità
La Blue Economy, così come riportato anche dalla UE nel suo consueto report riferito all’anno 2021, viene catalogata come uno strumento prezioso per combattere crisi climatica ed inquinamento ambientale, potenziando alcuni dei suoi settori chiave, come la pesca, i trasporti via mare, il turismo costiero, la biologia marina, l’acquacultura, e la cantieristica navale, con le strutture offshore per la produzione di energia rinnovabile. Diviene imprescindibile, quindi, investire nel progresso della ricerca e dello sviluppo di questi comparti di una forma di economia che possiede grandi margini di crescita.
Basti pensare che, dal 2018 fino alla fine del 2021, i ricavi della Blue Economy, hanno portato in Europa, un valore aggiunto lordo medio pari a 176,1 miliardi di euro per ogni anno, generando una crescita di oltre il 15 %, nell’arco di un intero decennio (2009 al 2018).
Il profitto raggiunto solo in Italia è stato di circa 50 miliardi di euro, permettendo ad oltre 200 mila imprese di lavorare a pieno regime, e producendo occupazione.
Questo tipo di economia, ovviamente, è simbioticamente legata alla salute degli oceani, e richiede particolare attenzione e cura per poter assurgere al ruolo di alleato nella lotta contro i cambiamenti climatici così pericolosamente frequenti. Siamo perfettamente consapevoli, ormai, del fatto che ad essere coinvolta in questa profondissima crisi ambientale, è la nostra stessa sopravvivenza, ed è acclarata la dipendenza del genere umano nei confronti degli oceani, da cui si sostenta il commercio ed il turismo e la ricerca che tocca punti nevralgici della nostra qualità di vita.
Agli oceani ed alle foreste, spetta anche la funzione di catturare almeno la metà di emissioni di carbonio presenti nell’atmosfera, a causa di un utilizzo esasperato di combustibili fossili.
La prestigiosa rivista Oceanography ha calcolato che l’Economia Blu, ogni anno, possa fatturare quasi 2 miliardi di dollari. Mentre l’ONU fa sapere che questo valore è destinato a raddoppiare entro il 2030, grazie alle popolazioni che vivono lungo le coste del mondo che puntano sulla Blue Economy, per contribuire a risollevare le sorti dell’economia globale.
Come incentivare la Blue Economy e l’Economia Circolare in generale?
Esistono diverse modalità di incentivare la Blue Economy, e l’Economia Circolare in generale. In primis focalizzandosi sul cosiddetto eco-design, ossia forme di progettazione di tutto ciò che gravita intorno al mondo delle pasca, acquacoltura, ecc, riparando e riutilizzando. Ancora, mettendo a punto una logica costante e concreta volta a ridurre la produzione di gas nocivi nei porti ed attuando interventi per “decarbonizzare” le aree maggiormente inquinate. Ma, il gesto del upcycling, ossia del riciclo operoso, vede la grande opportunità di utilizzare vele in disuso, pezzi di tessuto, per creare nuovi prodotti. Ed anche, rigenerare i rifiuti marini raccolti durante la pesca o nei porti, insieme a componenti di navi non più in attività.
L’Italia è una delle quattro Economie Blu d’Europa
Nel nostro paese l‘Economia Blu rappresenta sempre di più una incoraggiante certezza. L’Italia, infatti, è tra le quattro Blue Economy d’Europa, insieme a Germania, Francia e Spagna. In termini di occupazione siamo intorno a 225mila attività imprenditoriali dedicate, (il 3,7% delle imprese nazionali con un valore aggiunto generato di circa 51 miliardi di euro). Con oltre 920mila persone occupate (il 3,7% della forza lavoro totale nazionale).
Come spiega il Ministero della Università e della Ricerca, all’Italia, spetterà il coordinamento della “Partnership per una blue economy sostenibile e produttiva” e, grazie ad alcuni fondi europei dedicati, si finanzieranno progetti ambizioni per i ricercatori italiani della durata dei prossimi sette anni. I campi di ricerca spazieranno dalla biologia, zoologia, geovulcanologia, in modo tale da monitorare lo sfruttamento umano di mari e coste, e studiare un protocollo di utilizzo delle risorse marine congiunto e durevole, ma soprattutto sostenibile.
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