Benessere
Il panico ti cambia la vita: per questo serve cambiare la legge
Che cos’è un attacco di panico? Come si manifesta? Che cosa prova la persona che ne viene colpita? Sono domande che molti di quelli che non hanno attraversato questa esperienza pongono a chi con i disturbi mentali convive quotidianamente. Tensione, tremore, sudore, palpitazione, aumento della frequenza cardiaca, vertigini, nausea, dolore addominale, formicolii alle estremità ed intorno alla bocca, derealizzazione e depersonalizzazione. Queste sono solo alcune delle manifestazioni fisiche e fisiologiche che accompagnano un attacco di panico e più in generale il disturbo di ansia generalizzata, anche se i sintomi per quest’ultimo possono esprimersi in modo meno violento ma prolungato nel tempo.
Il “panico” ti cambia la vita; da quel momento in poi la persona che ne soffre e lo sperimenta costruirà e vivrà la sua vita in relazione a quell’episodio: l’esperienza di aver paura o credere di morire. Così, l’ansia, o la paura che l’attacco di panico possa ripetersi (agorafobia), si traduce spesso in una tendenza immediata all’esplorazione dell’ambiente in cui la persona si trova, nella ricerca di rassicurazioni e vie di fuga. La strategia principale istintiva di gestione dell’ansia è però “l’evitamento” della situazione temuta (strategia “better safe than sorry” – “meglio prevenire che curare”). Sono frequenti inoltre comportamenti protettivi (farsi accompagnare, assumere ansiolitici al bisogno, ecc.), anassertivi e di sottomissione.
Ci troviamo pertanto di fronte a una serie patologie invalidanti e che ancora oggi fatichiamo a riconoscere come disturbi mentali relegandoli a una “questione di carattere”, a una troppa spiccata sensibilità o emotività di chi ne soffre. Lo stesso discorso vale per la depressione, un disturbo mentale ampiamente diffuso nella popolazione e in continua crescita, che si caratterizza per un’alterazione dell’umore, tristezza di diversa gravità, senso di solitudine, mancanza di speranza, contrarietà, sensi di colpa e dubbi.
Secondo l’Istat (i dati sono del 2017; ndr) sono due milioni e mezzo gli italiani che soffrono di disturbi d’ansia. Le statistiche mostrano che il 33% delle persone di età compresa fra 18 e 25 anni ha sperimentato il panico. Dieci milioni di italiani, prevalentemente donne, lo ha vissuto almeno una volta. La depressione è il disturbo mentale più diffuso fra gli italiani: sono più di 2,8 milioni (5,4% degli over 15 anni) le persone che ne hanno sofferto nel corso del 2015. I costi sociali ed economici di questa patologia sono altissimi. In Europa sono stati stimati nell’ordine dell’1% del Pil.
Riconoscere l’ansia, gli attacchi di panico e la depressione come malattie sociali e migliorare la qualità della vita di milioni di cittadini sono gli obiettivi di un disegno di legge intitolato “Disposizioni per il riconoscimento del disturbo depressivo e dei disturbi d’ansia come malattia sociale” e messo a punto dal vicepresidente dei senatori di Forza Italia, Massimo Mallegni. Il ddl è composto da un solo articolo, è menziona i disturbi da Attacco di Panico (DAP), il disturbo d’ansia generalizzata (DAG), la fobia sociale, il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) e il disturbo post traumatico da stress (DPTS) e la depressione clinica.
Il testo è stato presentato il trenta ottobre a palazzo Madama dalla presidente del gruppo parlamentare azzurro, Anna Maria Bernini. A fare da sfondo all’incontro il libro di Alessandra Pontecorvo, “Vita da impanicati – istruzioni per l’uso“, edito da Giacovelli. Alessandra Pontecorvo, classe ’84, lavora nell’ambito della comunicazione istituzionale e politica. La sua esperienza di “impanicata” inizia all’età di 16 anni e questo la rende una profonda conoscitrice empirica del problema nonostante non abbia competenze mediche. Il suo libro è un piccolo manuale che vuole essere d’aiuto a chi soffre di queste patologie ma anche alle persone che gli stanno accanto. «Se qualcuno ti chiede cos’è il panico lo fa principalmente per due motivi: o sta prendendo coscienza del suo stato di persona potenzialmente impanicata o conosce qualcuno che ama che ne soffre o ne potrebbe soffrire e vuole trovarsi pronto in caso toccasse a lui affrontare la situazione. In entrambi i casi se lo chiede è perché comunque se ne parla ancora troppo poco», scrive Alessandra nella quarta di copertina del suo libro.
Per la prima puntata di questo nostro viaggio nel mondo dei disturbi mentali abbiamo intervistato il senatore Massimo Mallegni, che con il “suo” ddl (legato al dpr che istituisce i centri per le malattie sociali) ha proposto una vera e propria rivoluzione nel riconoscimento di ansia, attacchi di panico e depressione come malattie sociali, ponendo le basi anche per lavorare eventualmente sul “diritto all’invalidità”. La prossima puntata vedrà come protagonista il professor Claudio Mencacci, medico psichiatra e direttore del Dipartimento Neuroscienze e Salute mentale del ASST Fatebenefratelli – Sacco, Milano.
Cosa l’ha spinta a mettere a punto un disegno di legge per il riconoscimento del disturbo depressivo e dei disturbi d’ansia come malattia sociale?
La mia attenzione nasce innanzitutto dalla mia esperienza da sindaco durante la quale mi sono trovato spesso a dover autorizzare trattamenti sanitari obbligatori, perché per una strana legge è il Sindaco che si deve occupare di queste cose. Da lì ho cominciato a informarmi e ho capito che c’è un mondo che è ancora quasi completamente al buio. Tutto ciò che ha a che fare con i disturbi mentali è troppo spesso considerato ancora un tabù e questo non è più concepibile. È compito della politica fare in modo che non esistano più differenze rispetto alla qualità della vita di chi soffre di stati d’ansia cronici, depressione o attacchi di panico e chi invece è considerato “normale”. Il caso ha voluto che nella mia prima esperienza da Senatore io abbia avuto come collaboratrice la dott.ssa Pontecorvo che nel frattempo stava ultimando il suo libro “Vita da impanicati – istruzioni per l’uso” e che mi ha dato ulteriori strumenti per comprendere la necessità di un’iniziativa di questo tipo. Diciamo che la politica si deve occupare anche di far parlare di argomenti che vengono spesso taciuti e questo è quello che ho voluto fare io insieme con gli altri colleghi che hanno sottoscritto il ddl.
Lo Stato ad oggi riconosce come invalidanti alcune patologie psichiche quali la schizofrenia, il disturbo bipolare e in alcuni rari casi la depressione maggiore; non riconosce però quelli citati nella “sua” legge. Perché?
Perché, come le dicevo prima, c’è ancora un velo di vergogna su alcune cose. Alcuni disturbi non sono considerati socialmente accettabili e le persone che ne soffrono sono spesso considerate mitomani o capricciose. Non mi fraintenda ci sono molte altre patologie invalidanti e quelle da lei citate sono senza dubbio tra queste, ma questo non vuol dire che non ce ne siano altre. Molto spesso si tende a credere che chi soffre d’ansia enfatizzi la propria situazione o che sia una condizione che ha scelto di vivere. Con questa legge cerchiamo di porre dei paletti precisi, perché inseriamo un limite temporale di diagnosi e diamo dei nomi precisi alle patologie. Non è un “semplice” periodo di stress, è una situazione cronicizzata che non può essere più considerata passeggera soprattutto se si considerano i numeri e l’impatto che essi hanno sulla vita sociale ed economica dell’intero Paese.
Come cambierà la vita delle persone affette da queste patologie se riconosciute come malattie sociali?
Innanzi tutto è una questione simbolica prima ancora che pratica. Avere da parte del legislatore il riconoscimento degli stati d’ansia e della depressione clinica come malattia sociale significa non dover vivere più nell’ombra, non doversi giustificare o vergognare, non essere più considerati diversi. In secondo luogo, sicuramente non meno importante, il riconoscimento comporterebbe l’inserimento dei centri e degli operatori che si occupano di questo tipo di patologie nel novero di quella categoria che può usufruire di fondi, di corsi di specializzazione e di agevolazioni di diverso tipo e questo ne aumenterebbe sicuramente la diffusione e di conseguenza l’avvicinamento dei “malati” a cure specialistiche che potrebbero essere loro d’aiuto.
A cosa avranno diritto? A quali aiuti?
Con questo ddl sarà possibile istituire centri specifici per tamponare il fenomeno sempre più dilagante degli stati d’ansia, crisi di panico e depressione clinica. Tali centri usufruiranno di fondi appositi stanziati in capitoli di bilancio dedicati al ministero della Sanità e potranno usufruire di aiuti da parte di altri enti predisposti, soprattutto le regioni, in diverse forme, ad esempio con l’assegnazione di locali pubblici nei quali svolgere le funzioni a loro affidate. Sono diverse le funzioni che i centri per le malattie sociali svolgono da quelli a più stretto contatto con i pazienti (consulti psichiatrici, medici interni, gruppi di auto mutuo aiuto, consulenze di vario genere) a quelli più generali come informazione ed educazione a vari livelli (scolastici, universitari e/o aziendali) nonché studio e ricerca.
A che punto è l’iter?
Purtroppo, nonostante il vasto consenso riscontrato tra i senatori anche di altri gruppi parlamentari, al momento siamo ancora in attesa dell’assegnazione del ddl alla commissione competente, che presumo sarà la commissione sanità. Spero che presto la situazione si sblocchi perché il problema diventa sempre più urgente. Anzi se mi permette lancio un appello dal vostro giornale affinché l’iter si velocizzi e non si impantani tra i litigi della maggioranza come troppe volte è capitato a provvedimenti utili e urgenti.
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