Perché parliamo di genocidio culturale?
In Ucraina è in atto un genocidio culturale. Si tratta di un’affermazione forte, che fa sobbalzare sulla sedia la maggior parte di chi, sul termine genocidio, applica una categoria storica ben precisa. Eppure, il concetto di genocidio culturale ci parla di altro, ci parla di una vicenda che si sta proprio dipanando sotto i nostri occhi in queste ore, nel teatro di guerra che si è aperto ai confini dell’Europa.
Ma quali sono i criteri per definire un genocidio culturale (che, vi ricordo, altro è rispetto al genocidio di novecentesca memoria)?
Innanzitutto, il fatto che ad essere colpiti siano i simboli, e con essi i significati condivisi attorno a quei simboli: il teatro di Mariupol, la scuola, l’ospedale pediatrico, per citarne alcuni…
É nel momento in cui si decide scientificamente di colpire i simboli culturali di una comunità che la deriva del genocidio culturale appare all’orizzonte con le sue dinamiche concrete, composte dalla ridefinizione dei nuovi equilibri di potere.
Il genocidio culturale non si definisce contando i morti, infatti. Ma ben si definisce contando la morte dei simboli!
E, con essi, la morte di quelle strutture, di quei luoghi e di quegli spazi in cui le nuove generazioni potrebbero reiterare significati culturali che si vorrebbero cancellare per sempre.
Ma perché, allora, utilizzare un termine come genocidio, che tanto fa rabbrividire? Perché se muore quella cultura, muore anche quella identità specifica. E l’identità è sempre la definizione culturale di una comunità di persone in un particolare presente. Uccidere la cultura significa uccidere la definizione che la società fornisce di sé stessa, in quest’epoca e, dunque, uccidere ciò che le persone ritengono di essere.
Ecco perché certamente c’è una differenza (che tanto sottile non è, a voler vedere) rispetto alla definizione storica del genocidio come annientamento di un’etnia, la quale è globalmente intesa come azione di massacro collettivo nel quale si contano morti fino all’ultimo dei componenti.
Con il genocidio culturale, infatti, non necessariamente si dovrà giungere alla scientifica eliminazione di ogni elemento umano dal contesto, ma basterà distruggerne in maniera mirata la simbologia, determinare lo spaesamento identitario, annientare gli equilibri sistemici e sociali di orientamento, costringere la società fatta di persone a rivedere ogni assetto culturale, determinando la paura di ciò che era prima e, come conseguenza della paura, il conseguente oblìo che colpirà soprattutto le generazioni future.
Per fare questo è necessario abbattere un teatro, una scuola, ed anche un ospedale, guarda caso, pediatrico.
Fonte foto: Pixabay – Wendelin Jacober
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