Memoria e Futuro
Welcome to the Disnomia
Un presente che non piace e non si piace, tende a cullarsi immaginando futuri peggiori. Fu così nel secolo scorso, pieno di romanzi e racconti distopici. Gli anni ’30 del Novecento furono un periodo fertile per questo tipo di letteratura. Autori come Aldous Huxley (con “Il mondo nuovo”) e Katharine Burdekin (con “La notte della svastica”) crearono romanzi che riflettevano le paure e le ansie di un’epoca segnata da totalitarismi, crisi economiche e rapidi cambiamenti tecnologici. Questi romanzi dipingevano futuri inquietanti, caratterizzati da società oppressive, perdita di libertà e disuguaglianze sociali. Oggi, questi classici della distopia continuano a essere letti e studiati perché affrontano temi universali che risuonano ancora nel nostro presente.
Ma il nostro presente è afflitto da un’altra grave malattia, la disnomia. Il termine “disnomia” può assumere significati molto diversi a seconda del contesto. C’è la disnomia politica, che indica una situazione di completo disordine e caos. È come se una società perdesse completamente le sue regole e le sue leggi, sprofondando in un’anarchia totale. E noi ancora non ci siamo, forse. In ambito medico, invece, la disnomia è un disturbo del linguaggio. Chi ne soffre ha difficoltà a trovare le parole giuste per esprimere i propri pensieri. È come se le parole gli sfuggissero dalla mente, anche se conosce perfettamente il concetto che vuole comunicare. E in questo, invece, siamo immersi.
Basta leggere le prime pagine dei giornali oggi piene di misinterpretazioni delle parole del presidente ucraino estratte da un’intervista più che rirportata fedelmente adattata ai desideri di chi ne pubblica il resoconto o le sempre più frequenti querele lanciate da chi dovrebbe essere il ministro dell’istruzione e invece si perde dietro tweet e post sui social, avendo anche la tribune di susseguose interviste sui media col risultato di continuare ad esporre le sue difficoltà nella comprensione dei testi.
E che dire di governi e opposizioni che parlano seguendo solo il suono e il ritmo delle parole, ma raramente il contenuto? E di come vengono scritte leggi ed emendamenti, ne vogliamo parlare? Abbiamo quotidiana prova dell’incapacità oramai cronicizzata di scrivere norme coerenti e capaci di superare i minimi controlli di legalità.
E di come questi argomenti vengono raccontate al (ridotto) pubblico televisivo? Flussi di parole, spesso incoerenti, di cui si può apprezzare il tono, spesso accorato, ma che, nel momento in cui ci si ferma ad ascoltare le singole parole usate, risultato incoerenti al contenuto che si vuole comunicare. Sembrano tutti deejay anni settanta, che riempivano l’etere di parole senza senso tra un disco e l’altro. Un po’ come vivere dentro Prisencolinensinainciusol di Celentano. Bella vita, eh?
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