Memoria e Futuro
Una città ideale
Se nonostante tutto quello che è successo nelle ultime settimane e negli ultimi mesi in Italia, negli Stati Uniti e un po’ in tutto il mondo, avete ancora voglia di leggere, avete ancora voglia di farvi stimolare il cervello da idee e non da polemiche sull’ultima dichiarazione del presidente del consiglio o dell’attuale inquilino della Casa Bianca, ho un consiglio da darvi per il prossimo fine settimana. Lasciate perdere i quotidiani, sia quelli scritti da umani che quelli scritti dall’IA ( quale differenza poi…) e cercate in tutti i modi di recuperare una rivista che, nonostante tutto e tutti, mensilmente (più o meno) prova a mettere ordine nella gran confusione di questi anni.
La rivista di cui vi parlo è “Una città” e, leggendola, vi troverete catapultati in un altro mondo, rispetto a quello che viviamo ogni giorno.
Questo giornale austero, come il bianco e nero che lo caratterizza, ha una storia che viene da lontano, visto che è stato fondata nell’ahimè lontano 1992 a Forlì da un gruppo guidato da Lucio Mazzi, ed è un mensile che sfida i ritmi frenetici dell’informazione moderna, puntando su approfondimento e dialogo.
Nata come progetto del Centro di Documentazione di Villa Verucchio, la testata si propone come spazio di confronto su temi sociali, politici e culturali, dando voce a chi spesso è escluso dai media mainstream: attivisti, intellettuali critici, comunità marginali e cittadini comuni.
Il titolo stesso, che evoca un luogo ideale di convivenza, riflette la sua missione: costruire un “agorà” dove le storie individuali si intrecciano alle questioni collettive.
Ogni numero ruota attorno a un tema specifico—migrazione, ambiente, diritti, lavoro e, negli ultimi mesi, approfondimenti sulle guerre (militari e non solo) che circondano—sviluppato attraverso interviste lunghe e narrative in prima persona. Ad esempio, un dossier sull’accoglienza potrebbe unire le parole di un rifugiato siriano, l’analisi di un sociologo e l’esperienza di un volontario, creando un mosaico di prospettive. Questo approccio “dal basso” permette di esplorare le complessità senza retorica, privilegiando l’autenticità delle testimonianze.
Il funzionamento della rivista è basato su un modello non profit (a differenza di quei quotidiani che ottengono contributi pubblici per singola copia, rafforzando così le distorsioni dell’asfittico mercato editoriale italiano): sostenuta da abbonamenti e donazioni, rifiuta la pubblicità per garantire indipendenza. La redazione opera come collettivo, coinvolgendo i lettori nella scelta dei temi e organizzando incontri pubblici per alimentare il dibattito. Negli anni, Una Città ha creato una comunità trasversale, legata da un’etica della responsabilità civile.
Oltre alla versione cartacea, il progetto si espande online con un archivio digitale gratuito, rendendo accessibili decenni di contenuti, per esempio digitalizzando decine di riviste politiche novecentesche che in assenza di questo lavoro rimarrebbero ad impolverarsi in qualche scaffale.
In un’epoca di informazione effimera, la rivista resiste come il miglior esempio di “slow journalism” impegnato d’Italia, dimostrando che ascoltare storie diverse non è solo un atto culturale, ma un gesto politico per immaginare futuri possibili.
Per informazioni e (importantissimi) abbonamenti https://www.unacitta.it/it/home/
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