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Storie senza fine

di Marco Di Salvo 4 Gennaio 2025

Il cinema contemporaneo, tramortito dal Covid e dal successo delle piattaforme on demand, ha pensato bene di riprodurre stilemi e cifre narrative di queste ultime  per provare a contenere la crisi del successo commerciale, abbracciando con sempre maggiore entusiasmo il modello della serializzazione. Sequel, prequel, reboot e spin-off si sono moltiplicati, trasformando molti film in vere e proprie saghe cinematografiche.

Dall’altra parte, le piattaforme si sono buttate sulla serializzazione di classici cinematografici, aggiornandoli ai gusti contemporanei e cercando di riprodurne sul piccolo schermo i successi di decenni fa. Il risultato? La progressiva sparizione di storie originali, a beneficio di riscritture e costruzioni di “universi” più o meno coerenti.

L’unico obiettivo ottenuto, dopo qualche anno di relativo entusiasmo dovuto alla fidelizzazione del pubblico che apprezzava la possibilità di ritrovare personaggi e storie amate, è la sempre crescente disaffezione, visto che gli stessi fans si sono via via può sentiti sopraffatti dalla quantità di contenuti e dalla sensazione di assistere a un continuo riciclo di idee.

Ma l’aspetto più pericoloso e per certi aspetti inquietante che questo sviluppo di modelli narrativi può creare, è la dipendenza psicologica nei confronti delle saghe, che spinge gli spettatori a seguire ogni nuovo capitolo per non perdersi nulla. Se questo è relativamente grave in caso di saghe cinematografiche (che prevedono comunque un attività “fisica” di raggiungimento della sala da parte del pubblico), sta diventando sempre più rischioso (e studiato) per quanto riguarda il fenomeno del “binge watching” televisivo, ovvero la pratica di guardare un numero elevato di episodi di una serie televisiva in un breve lasso di tempo, spalmati comodamente sul divano di casa.

Svariati saggi di psicologi e neuroscienziati hanno approfondito le caratteristiche di quella che sta diventando una vera e propria malattia degli ultimi anni,  con caratteristica di dipendenza quali alterazione dell’umore (il binge watching può portare a sbalzi d’umore, in particolare quando si raggiunge la fine di una serie e si sperimenta un senso di vuoto o di “astinenza”), difficoltà a concentrarsi (l’abitudine a passare rapidamente da un episodio all’altro può rendere difficile concentrarsi su attività che richiedono attenzione prolungata, come lo studio o il lavoro) e arrivare alla distorsione della percezione della realtà, in quanto un eccessivo coinvolgimento nelle storie delle serie TV può portare a confondere la realtà dalla finzione, influenzando il modo in cui si percepiscono le relazioni interpersonali e gli eventi della vita reale.

Siamo tutti in qualche modo vittime di questa evoluzione della narrazione, che trasforma il nostro modo di rapportarci anche nella vita reale. Mentre una volta si vedevano i film con la certezza di confrontarci con una storia compiuta, grazie alla struttura in tre atti (Impostazione della storia, Sviluppo e Risoluzione) e di godere della soddisfazione del The End, oggi vaghiamo immersi in storie senza fine, in attesa di conclusioni inconcluse e agognando sempre una prossima stagione, vivendo spesso la fine della serie come un tradimento. Una vita appesi al cliffhanger, come quarti di bue in macelleria.

1 Commento
  1. Il cinema è morto. Il cinema di contenuto, si capisce. Oggi prevale lo spettacolo, se possibile violento e comunque largamente manipolato dall’informatica per gli effetti speciali. Non a torto Federico Fellini ha detto che il cinema attuale è un cinema d’ingegneri. Le storie che vengono presentate oggi nello spettacolo cinematografico non invitano alla riflessione, offrono soltanto una breve fruizione senza conseguenza. Non esistono più, o molto raramente, cinéma d’essai per poter apprezzare quei tanti film che in passato hanno marcato la cultura di più di una generazione.

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