L'arco di Ulisse

Roberto Benigni, un disastro intellettuale di grande portata

di Oscar Nicodemo 21 Marzo 2025

Che la più alta forma di umorismo abbia una valenza morale è un fatto di cui non si può minimamente dubitare. E Benigni umorista lo è stato, e anche in maniera magnifica, rendendosi popolare in quanto creatura comica, rivestita di una genuina e spontanea foggia ideologica, Un talento puro, rivelatore di un animo predisposto alla naturale ricerca della bellezza, ovunque si potesse scorgerla per offrirla in meraviglia sotto forma di spettacolo, traendola finanche da un campo nazista di sterminio. E anche se con una “mascalzonata” d’autore (Monicelli dixit), da definirsi il non plus ultra della furberia efficientista, è riuscito a vincere l’Oscar! E poco importa se, nella sequenza finale del lungometraggio, ha sostituito un carrarmato russo con uno americano sventolante la bandiera a stelle e strisce. Quanto allo show in tv dell’altra sera, sembra abbastanza chiaro che Benigni abbia rinunciato per sempre a essere un comico satirico, categoria da cui si è emancipato per essere altro. Ma cosa? Un moralizzatore a metà tra il cantastorie e il monologhista? Può darsi. Ma la domanda successiva è: può un artista, che da più parti viene inteso come un furbastro servo degli apparati dominanti, non certo un rappresentante di qualche nucleo di opposizione al potere prevalente, perseguire una morale? Benigni, malgrado se stesso, resta un bravo artista, ma l’arte, tutta l’arte, non può essere privata del suo timbro etico. Se consumata con un secondo fine, neanche troppo nascosto, crea un disagio di fondo sia in chi la produce e la diffonde, sia al pubblico a cui è destinata. E Benigni, l’altra sera, con la sua performance sull’europeismo di cartapesta, al di là di ogni espediente scenico, qualche imbarazzo lo ha creato. Come può una persona che ha preso in braccio Berlinguer far finta di non accorgersi del fallimento dei leaders europei e derubricare come antieuropeismo il disprezzo che si arriva a nutrire per le politiche europee, cieche e non previdenti, in totale disprezzo delle esigenze delle comunità?

Celebrare il “Manifesto di “Ventotene”, un documento fondante dell’Unione Europea, per poi applicarvi disinvoltamente una storpiatura di maniera, sciancando parti essenziali di esso e mettendone altre in correlazione col piano di riarmo, è un’operazione che mal si coniuga con l’essenza politica e l’anima popolare di cui è impregnato quel documento stesso. Qui, l’ipocrisia dell’artista ha raggiunto livelli inimmaginabili, fino a rivelarne l’assurdità concettuale. Come se avesse detto: «Il cardine del “Manifesto di Ventotene” è qualcosa di utile e sublime, però è giunto il momento di cambiarlo!» Lo spettacolo offerto a milioni di telespettatori è stato per tanti versi illogico e insensato, contraddicendo l’autore e la storia. Quale virtù ha promosso l’esibizione di Benigni, se non quelle presunte e dominanti di una von der Leyen, o di un Macron? Di fronte a quale prospettiva morale egli ci ha messo? Non è forse vero che la cultura si è sempre spesa per bloccare ogni processo di indottrinamento? Perché, dunque, un intellettuale della sua fama ha messo la sua arte al servizio di un tentativo di convincimento di massa? Tra le risposte non si può escludere aprioristicamente quella secondo cui il nostro showman non sarebbe affatto un intellettuale, oppure lo sarà rappresentandone una disastrosa versione. Vuoi vedere che alla fine Roberto Benigni ha solo bisogno di recuperare l’umorismo di cui disponeva una volta e magari guadagnare anche un po’ di autoironia? Kierkegaard considerava l’umorismo come la gioia che ha sopraffatto il mondo. Resta davvero difficile pensare che un ex comico come Benigni possa risultare divertente ponendosi come attrezzo del potere. Infine una stramberia: mi dico certo che Massimo Troisi, considerando la performance televisiva, gli avrebbe detto:«Robè, ma tu sì carùte r’o liétte e hai sbattuto ca capo ‘ntèrra?»
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