
L'arco di Ulisse
Rampini, la bretella eloquente
Ho sempre ascoltato e letto con molta attenzione Federico Rampini, riscontrandone una linea di coerenza ideologica non indifferente, contrassegnata da una componente ossessiva che si evidenzia in maniera nitida in ogni suo racconto, volta a tessere l’elogio di un primatismo occidentale che al mondo ha dato tutto: scienza, letteratura, civiltà. Voilà, vittima illustre di questa narrazione sarà stato senza ombra di dubbio il cantautore Vecchioni, dandone prova dal celebre palco dei liberisti bellicisti. Naturalmente, l’occidente ha anche avviato opere di colonialismo e di schiavismo, rendendosi responsabile di genocidi. Ma, questo, esula dal pensiero lucido e curato del nostro autorevole giornalista, che dopo un certo numero di anni negli States, trascorsi come corrispondente del quotidiano “la Repubblica”, ha adottato le bretelle come accessorio di un giornalismo di qualità, probabilmente ispirato da Larry King, inarrivabile anchorman statunitense, sulla cresta dell’onda dagli anni ’70 fino al 2010. Ma, al di là delle sue sceniche tiracche, il puzzle dei suoi articoli e delle sue opinioni televisive, che vanno dalla Russia alla Cina, dal Medio Oriente al Sudamerica, denota una collaudata forma di esaltazione della tradizione, della potenza e del valore dell’Occidente, da cui trapela un malcelato sentimento di disprezzo per i suoi competitor, descritti come paesi compassati dall’inciviltà e l’arretratezza culturale. E il passo dal primatismo al razzismo è breve.
I tempi sono quelli che sono e, dovunque si guardi, dall’Ucraina alla Palestina, gli osservatori da considerarsi alla stregua di servi, che si spendono in favore di un sistema che ne legittima il mestiere, abbondano ovunque. La torsione verso destra del bretellato Rampini non fa altro che compiacere la strategia di una sinistra da cui in tanti, idealisti e non, cominciano a tenersi alla larga. Non dimostrare affatto di avere il coraggio di ripristinare una politica propensa a restituire senso e dignità al paese, cercando di porre fine all’avidità di un capitalismo totalmente autoreferente e dominatore assoluto, tanto della finanza quanto della politica internazionale, vuol dire non ambire a governare il paese secondo i paradigmi della sinistra. E se non esiste più una cultura di sinistra, pare evidente che non esista più la sinistra come categoria dello spirito e della coscienza. Un modo di stare al mondo, dunque, sta per esaurirsi, e in questo frangente storico, da considerarsi come un neooscurantismo di ritorno, signoreggiano i fedelissimi del potere e i furbi di ogni tempo. Quanto al nostro Federico Bretella Rampini, che vorrebbe la fine tombale della Cina, della Russia e di tutte le nazioni non amanti della più evoluta democrazia mondiale, Gli Stati Uniti d’America, credo possa rientrare nella metafora del bambino militarista che sta giocando a una guerra di espansione globale: ce l’ha con tutti i pezzi mancanti che gli vietano di concepire il mondo sotto l’egida americana.
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