Memoria e Futuro

Radicalizzarsi su TikTok

di Marco Di Salvo 17 Febbraio 2025

Leggere, come capita per l’attentatore in Austria, che questo ragazzo di 23 anni si sia radicalizzato su Tik Tok a me lascia davvero sgomento. Cioè che la società nel suo complesso (mezzi di informazione, forze dell’ordine e apparati governativi) dia alla piattaforma cinese di intrattenimento la responsabilità della formazione ideologica di questo ragazzo mi sembra la ratifica del fallimento della comunità.

A me consta dire che mi pare che, prima di radicalizzarsi su Tik Tok forse questo giovane uomo qualcosa nella vita aveva sofferto. Immagino che la sua rabbia non fosse legata solo alla visione di qualche video di fanatici o figlia del suo rifiuto di abbracciare entusiasticamente lo stile di vita occidentale (nella sua versione austriaca). Chissà, magari anche il trattamento ricevuto una volta arrivato lì o tutto quello che aveva vissuto durante la fuga dalla Siria, se era passato dalle prigionieri libiche o dai favolosi confini tra Polonia e Bielorussia, potrebbe aver avuto una certa influenza.

Niente, però. Per i mezzi di informazione il ragazzo si è radicalizzato su Tik Tok quindi è colpa di strumenti popolari che (forse) incitano i giovani a compiere questi atti, come succedeva negli anni ottanta per i ragazzi che compivano reati di sangue e si scopriva che erano fan  dell’heavy metal o, negli anni successivi, per quelli che si divertivano con videogiochi violenti e contemporaneamente erano spietati killer. Tutto colpa di soggetti indefiniti, esterni a chi ha la responsabilità della formazione dei giovani (famiglia, società, istituzioni).

Attenzione non voglio negare che, negli ultimi anni, i social network siano diventati uno strumento cruciale per la diffusione di ideologie estremiste tra i giovani. Questo processo di radicalizzazione, spesso silenzioso e subdolo, sfrutta meccanismi algoritmici, dinamiche di gruppo e vulnerabilità psicologiche tipiche dell’adolescenza e della prima età adulta. Con oltre il 90% dei giovani tra i 16 e i 24 anni attivi su piattaforme come TikTok, Instagram e YouTube, il rischio di esposizione a contenuti polarizzanti è sempre più concreto. Un report del 2022 dell’Università di Cambridge ha evidenziato come, dopo aver visualizzato un contenuto radicale, gli utenti ricevono suggerimenti sempre più estremi, creando una “bolla filtrante” che normalizza visioni distorte della realtà. Ma questo capita a tutti i fruitori degli stessi network. Il problema è che, ad esempio, piattaforme come Telegram o Discord ospitano gruppi chiusi dove i giovani, spesso isolati nella vita reale, trovano un senso di appartenenza. Questi spazi, moderati da figure carismatiche, utilizzano linguaggi semplici e simboli culturali vicini ai giovani (meme, giochi) per veicolare ideologie. La condivisione di un “nemico comune” rafforza la coesione interna, trasformando il disagio individuale in rabbia collettiva. I social network offrono risposte immediate a dubbi esistenziali, proponendo narrative manichee che dividono il mondo in “buoni” e “cattivi”. Ma cosa da loro, in alternativa, la società fondata sul favoloso modello occidentale? Quali altri spazi di confronto e socializzazione esistono per loro, oggi, nella realtà? Manca sempre questo, nelle puntute analisi che si leggono sui quotidiani dopo queste vicende.

E così noi, nelle nostre belle case riscaldate, nei nostri tinelli con la televisione sempre accesa, mentre mettiamo cuoricini sull’ennesimo post, possiamo far finta di nulla, far finta che la vicenda non ci appartenga, perché il ragazzo, si sa, si è radicalizzato su Tik Tok. E io non l’ho mica scaricato.

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi collaborare ?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.