Memoria e Futuro

Pensieri Fuschi

di Marco Di Salvo 23 Dicembre 2024

Caro Michele,

quanto tempo che non ti scrivo. Come va qui? Eh, che ti devo dire, t’ho pensato in questi giorni, leggendo alcune di quelle che i tuoi colleghi si ostinano a definire notizie.

Tipo quella del lettone regalato (con colletta dei parlamentari di FdI) alla presidente del consiglio. Una roba ridicola e a tratti grottesca, a vedere ad esempio l’entusiasmo con cui i tapini hanno inseguito i cronisti parlamentari per comunicare festosi la notizia. Paolo Villaggio l’avrebbe probabilmente narrata così:

Il Letto del Presidente

Il Presidente del Consiglio, una donna abituata ai ritmi frenetici della politica, ricevette dai suoi fedelissimi collaboratori un regalo inaspettato: un letto a baldacchino, un vero e proprio capolavoro di ingegneria del sonno. Realizzato con i materiali più pregiati e dotato di ogni comfort, prometteva notti di riposo paradisiache. L’idea era nata da una parlamentare di terz’ultima fila, una donna dal sorriso ebete e dalla fervida immaginazione. “Così il Presidente potrà riposare meglio e affrontare le sfide del Paese con rinnovato vigore!”, aveva esclamato, come se il capo di governo fosse un maratoneta che necessitava di un recupero completo.

Il letto fu installato nella residenza ufficiale del Presidente, occupando buona parte della camera da letto. Era un colosso di legno intarsiato, rivestito di seta e drappeggiato con tendaggi di velluto rosso. Il materasso, poi, era un’opera d’arte a sé stante: morbido come una nuvola e avvolgente come un abbraccio. Il Presidente, nel provarlo, si sentì come un bambino cullato dalla madre.

La prima notte fu un’esperienza paradisiaca. Il Presidente si addormentò subito e sognò di governare un Paese felice e prosperoso. Al mattino si svegliò riposato e pieno di energie, pronto ad affrontare la giornata. Il problema era proprio questo: il Presidente non voleva più alzarsi dal letto!

Ogni mattina, la sveglia suonava puntuale, ma il Presidente la snodava con un gesto annoiato e ricadeva tra le morbide lenzuola. I suoi collaboratori, preoccupati, tentarono di tutto: suonarono fanfare, organizzarono finte riunioni urgenti, persino simularono un’invasione aliena, ma niente funzionava. Il Presidente era talmente a suo agio nel suo nuovo letto che si rifiutava categoricamente di abbandonarlo.

Alla fine, fu lo stesso Presidente a trovare una soluzione: decise di portare il letto con sé in ufficio. Così, poteva lavorare comodamente sdraiato, ricevendo i suoi ministri e firmando decreti tra un pisolino e l’altro. Il Paese, nel frattempo, andava alla deriva, ma il Presidente dormiva sonni tranquilli.

Scherzi a parte, non è che dall’altra parte si stia meglio. Pare siano tutti in ambasce per questioni di chat di Whatsapp, di 25 aprile virtuali, di chiacchiere da divano. Anche su questo varrebbe la pena di farci una storiella fantozziana.

La Chat del 25 Aprile

C’era una volta, in un lontano 25 aprile, una chat di WhatsApp chiamata, con una creatività tipicamente giornalistica guarda caso, “25 Aprile”. Era nata come un modo per un gruppo di amici che contavano, reduci di qualche manifestazione un po’ troppo festosa, di continuare a pensare alla Liberazione ed immaginare una nuova Resistenza. Bottiglie di vino rosso virtuali, ricordi condivisi e qualche canzone partigiana a squarciagola avevano fatto da colonna sonora ai primi tempi.

Ma col passare dei mesi, la chat si era popolata di nuove figure, meno interessate alla storia e più concentrate su se stesse, sui meme e sul fare conoscenza con chi contava. I brindisi erano stati sostituiti da emoji di bicchieri e le canzoni partigiane da gif di gatti che facevano la linguaccia. Il fondatore, un giornalista partigiano dal cuore tenero, aveva cercato di mantenere viva la fiamma della Resistenza, postando ogni tanto qualche aneddoto, qualche foto ingiallita. Ma le sue parole si perdevano nel mare di emoticon e di battute.

Un giorno, stanco di sentirsi come un vecchio disco rotto, il primo della chat decise di abbandonare la chat. Senza fare troppo rumore, si congedò con un semplice “Avanti popolo!” e scomparve nel nulla.

La chat del 25 Aprile, privata del suo fondatore, continuò a vivere di una vita propria. I messaggi continuavano ad arrivare, ma nessuno sembrava più interessato alla storia. Si discuteva di serie TV, di ricette di cucina, di gossip sui vip. Qualche volta, qualcuno cercava di riportare la conversazione sui binari giusti con un “Compagni, non dimentichiamo le nostre radici!”, ma veniva subito zittito da una raffica di meme divertenti.

E così, la chat del 25 Aprile finì per diventare un monumento alla banalità del presente, un luogo dove i valori della Resistenza si erano dissolti come neve al sole. Più o meno come un quotidiano di quelli che si ostinavano a leggere ogni giorno.

Come dici? Robe da Ztl? Eh, lo so. Ma questo passa il convento che, tra l’altro, è sempre meno affollato, più povero mentre i frati chiacchierano e non fanno politica. Anche su questo tu non avresti mancato di far sentire le tue parole.

Forse è per questo che ti scrivo, caro Michele. Perché manchi e ci sentiamo più soli, senza la tua intelligente ironia. Buone feste, ovunque tu sia.

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