
Memoria e Futuro
Mr. Smith goes to Washington?
Nella confusione in cui è precipitata la politica americana negli ultimi mesi spicca l’assenza del partito di opposizione. Attenti, l’assenza di visibilità, perché per chi (come me) è iscritto nelle mailing list del partito, pare che nulla sia cambiato dalla sconfitta del novembre scorso. La macchina comunicativa democratica continua a macinare richieste di donazioni e appelli all’unità, ma nei fatti la leadership appare disorientata, incapace di costruire una narrazione alternativa efficace contro l’amministrazione Trump.
In questo vuoto politico, Bernie Sanders ha ripreso a fare ciò che sa fare meglio: scendere nelle piazze. Il senatore del Vermont, ormai 83enne ma instancabile, ha organizzato una serie di manifestazioni nei college americani, cercando di riaccendere quella passione giovanile che era stata decisiva nelle sue campagne precedenti. “La lotta continua”, ripete Sanders ai giovani attivisti, “e non possiamo permetterci di stare a guardare mentre vengono smantellate le conquiste sociali degli ultimi decenni”. Il tutto Viene presentato come un movimento di massa e, se per gli standard americani trentamila presenti ad un rally sono numeri da capogiro, c’è da dire che viene sempre comoda quell’espressione “piazze piene, urne vuote” per descrivere la reale consistenza delle vicende della sinistra democratica quando si tratta di andare a scardinare i centri del potere del partito degli asinelli.
Ma la vera sorpresa nel panorama politico americano è l’ipotesi, sempre più concreta, di una candidatura presidenziale di Stephen A. Smith. Il celebre commentatore sportivo della ESPN, voce inconfondibile del programma “First Take”, starebbe valutando seriamente la possibilità di scendere in campo per il 2028, cavalcando l’onda del malcontento verso una politica percepita come distante dai problemi reali.
Smith, 57 anni, afroamericano di New York, rappresenta un fenomeno mediatico unico: le sue analisi appassionate, spesso divisive ma sempre autentiche, hanno costruito attorno a lui un seguito trasversale che va ben oltre il mondo dello sport. Con quasi 7 milioni di follower su X e un podcast tra i più ascoltati d’America, Smith incarna quella connessione con il pubblico che la politica tradizionale sembra aver smarrito.
La sua possibile discesa in campo si intreccia paradossalmente con l’ attuale crisi della NBA, lega di cui è il commentatore più influente. Il calo di ascolti televisivi e la diminuzione delle presenze negli stadi potrebbe riflettere (oltre che una faccia della crisi economica vista l’esplosione dei costi dei biglietti) un fenomeno più ampio di disconnessione tra le istituzioni tradizionali e il pubblico americano, una frattura che Smith potrebbe sfruttare politicamente.
“La gente è stanca di sentirsi raccontare mezze verità”, ha dichiarato recentemente Smith in un’intervista. “Che si tratti di basket o di politica, gli americani vogliono autenticità e risposte concrete. Non possiamo continuare a ignorare i problemi reali delle persone comuni”.
Se da un lato la sua potenziale candidatura viene vista con scetticismo dall’establishment, dall’altro incarna quella tendenza americana a cercare outsider capaci di “scuotere il sistema”. In un paese dove un imprenditore-intrattenitore è riuscito a conquistare due volte la Casa Bianca, l’ipotesi Smith non appare più così fantasiosa, e potrebbe rappresentare un ulteriore campanello d’allarme per un partito democratico che fatica a ritrovare la propria identità e connessione con l’elettorato. Anche fuori dal perimetro dei partiti tradizionali, visto l’attuale disorientamento dell’elettorato, che potrebbe favorire, più che in altri periodi storici, la nascita di un terzo partito. Magari in sostituzione di uno dei due oggi esistenti.
Devi fare login per commentare
Accedi