Memoria e Futuro
Living in another world
Pare che, da una ricerca pubblicata nei giorni scorsi, nel 2023 il 54 per cento dei ragazzi tra i 14 e i 17 anni riteneva di non essere capito dai genitori; spero che i ricercatori abbiano fatto la stessa domanda ai genitori e sarei davvero curioso di leggere la risposta.
Ma questa quesito (e la risposta) dovrebbe essere diffuso a macchia d’olio, tra tutti i generi e la categorie che compongono l’universo umano del pianeta. Penso troveremmo risultati simili in tutte le sottocategorie esaminate. I docenti non si sentono compresi dagli alunni, i medici dai pazienti, i capi dai dipendenti e viceversa.
Anche in politica, l’accusa che si sta facendo largo sempre di più in questo periodo tra esponenti delle più diverse posizioni è quella di “vivere in un altro mondo”. Basta seguire il dibattito sulla manovra finanziaria in via di approvazione definitiva in Parlamento (con rispetto parlando, visto che oramai è trasformato in un “approvificio”) e sentire con che toni computi ci si scambia questa accusa, svuotandola di significato un poco alla volta ad ogni ripetizione.
Alieni che parlano lingue sconosciute gli uni agli altri e tutti convinti di avere il Verbo, in questa simulazione di un dibattito stantio. Forse ha ragione Mario Caligiuri che nel suo libro Maleducati descrive perfettamente la deriva del nostro paese, figlia di decenni di crisi culturale ed educativa. Il tapino prova anche a descrivere le possibili soluzioni alla deriva, ricorrendo a termini vetusti come “pedagogia della nazione”, illudendosi forse che ci sia un futuro migliore possibile.
Ma temo abbia ragione il vecchio Giuseppe De Rita che, dopo aver descritto tramite le ultime ricerche Censis la società italiana attuale come una “fabbrica di ignoranti”, si è lanciato in spericolate interviste (forse grazie alla libertà data dalla sua età) in cui specifica cause e responsabilità di questa crisi. E non tracciava alcuna prospettiva migliore ma una che ha come colonna sonora questa canzone dei Talk Talk.
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