Memoria e Futuro

La vergogna dietro la maschera

di Marco Di Salvo 16 Aprile 2025

A volte mi fermo a pensare a come deve essere la vita quotidiana di uno dei tanti propagandisti scambiati per giornalisti che affollano i giornali e le tv del nostro paese (e non solo). Se davvero questi personaggi credono in quello che propongono o se è tutta una recita e quanto questa recita influenzi la loro vita quotidiana. Quanto spazio abbiano per ritagliarsi momenti per essere se stessi, fuori dal personaggio con cui sono noti sui quotidiani o in giro per i talk show.

A volte sono addirittura affascinato dalla pervicacia delle loro opinioni, dalla “coerenza” con cui insistono, dalla capacità di interrompere coloro con cui stanno parlando per impedirgli di parlare, ma altrettanto spesso mi chiedo se, al termine di una trasmissione, spente le luci dello studio, riescano davvero a scrollarsi di dosso le opinioni estreme che hanno appena sostenuto con veemenza. Esiste una linea di confine netta tra il personaggio pubblico e la persona privata? O forse, col tempo, questa linea si assottiglia fino a scomparire?

Immagino la quotidianità di questi personaggi come un continuo esercizio di equilibrismo, messo in moto anche per non scivolare completamente dentro la maschera che indossano in pubblico. Da un lato la necessità di mantenere una certa coerenza nelle cose dette e scritte, dall’altro il bisogno umano di autenticità. Alcuni probabilmente hanno iniziato credendo sinceramente nelle posizioni che sostenevano, per poi ritrovarsi intrappolati in una spirale di radicalizzazione imposta dalle logiche dell’audience e dei social media.

Altri forse hanno abbracciato consapevolmente il ruolo di provocatori, considerandolo semplicemente un mestiere come un altro, una performance necessaria per conquistare visibilità e successo in un panorama mediatico sempre più affollato e polarizzato.

Non posso fare a meno di domandarmi però se questi professionisti della comunicazione riescano a instaurare relazioni autentiche nella loro vita privata. Come spiegano ai propri figli le contraddizioni (quando ci sono) tra i valori che insegnano loro e le posizioni che sostengono pubblicamente? Cosa accade quando incontrano persone che rappresentano proprio quelle categorie che attaccano nei loro interventi? Su questo ho un ricordo personale: un famoso esponente leghista, noto per andare a ripulire i treni dopo il passaggio notturno di immigrati, me lo trovai davanti durante una trasmissione televisiva in una rete locale. Ecco, mentre trasmettevano un video delle sue bravate, lo vidi abbassare lo sguardo, arrossire  e guardare da un’altra parte, quasi si vergognasse a rivedersi. Riaccesa la luce rossa delle telecamere tornò il leghista di sempre ma quel momento mi lasciò interdetto.

La pressione di dover essere sempre “in personaggio” deve essere estenuante. Le pause per riflettere, per dubitare, per ammettere la complessità del mondo reale, sono un lusso che questi personaggi mediatici non possono permettersi pubblicamente.

Forse in questi momenti di solitudine si interrogano sul prezzo che stanno pagando. Sulla differenza tra popolarità e rispetto. Sulla sottile linea che separa l’influenza dal danno sociale. Sul valore della verità in un’epoca in cui la percezione sembra contare più della realtà.

O forse, più banalmente, hanno smesso di porsi queste domande, anestetizzati dalla visibilità raggiunta a poco prezzo e dalle possibilità ad essa connesse nel contesto economico di crisi che ci circonda, contando sulla scarsa memoria dei telespettatori e dei lettori di giornali e convinti che il fine giustifichi i mezzi, qualunque essi siano.

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