
Memoria e Futuro
La strategia della stanchezza
Basta guardare le facce di alcuni dei leader mondiali dopo due mesi di presenza di Trump alla Casa Bianca per farsi tornare in mente quelle disperate e precocemente invecchiate di alcuni genitori alle prese con bambini iperattivi. Che sia questa l’unica vera strategia messa in atto dal presidente americano in tutti i campi del suo agire?
Chiunque abbia affrontato un bambino in piena crisi o osservato l’ex presidente Donald Trump dominare i titoli dei giornali conosce la stanchezza generata da richieste incessanti. Questa “strategia della stanchezza”, o iperattivismo, è una tattica comune per logorare chi sta dall’altra parte, sfruttando l’esaurimento fisico ed emotivo. Che si tratti di un figlio che rimanda il momento della nanna o di un leader politico che sovverte l’agenda mediatica, il principio è lo stesso: sopraffare l’avversario con un’attività costante, portandolo a cedere per trovare pace.
Come i bambini, a volte piccoli maestri del logoramento, anche Trump estenua chi ha a che fare con lui con giravolte, impuntature, cambi improvvisi di umore e di interesse.
I bambini, spesso inconsapevolmente, eccellono nel creare cicli di stanchezza. Con domande ripetute (“Perché?”), capricci in pubblico, o rifiuti ostinati di collaborare, testano i limiti della pazienza genitoriale. Psicologicamente, questa persistenza funziona perché i genitori, esausti dal lavoro o dalle responsabilità quotidiane, cedono per ripristinare l’equilibrio. Se un bambino ottiene un giocattolo dopo un’ora di pianti al supermercato, impara che l’insistenza premia. È un classico caso di condizionamento operante: il comportamento viene rinforzato dal risultato desiderato. I genitori, privi di energie, diventano vulnerabili a queste tattiche, creando un circolo vizioso.
Donald Trump ha elevato questa strategia a forma d’arte politica. Con tweet provocatori, cambiamenti repentini di narrazione e controversie calcolate, ha mantenuto avversari e media in uno stato di costante reattività. Già durante la sua prima presidenza, l’“effetto shock” quotidiano distoglieva l’attenzione da critiche o scandali, obbligando gli oppositori a disperdere energie per controbattere. Ora la strategia si è raffinata e quello che si è chiaramente notato in questi due mesi da parte di chi è costretto a relazionarsi con lui è una certa propensione a subirne senza reagire più di tanto le “mattane”. Anzi, si fa di tutto per darne una spiegazione (ed una soluzione) razionale, sprecando energie in soluzioni presto vanificate. La sovraesposizione mediatica genera inoltre stanchezza nel pubblico, riducendo la capacità di discernere priorità.
Sebbene i contesti siano opposti, il meccanismo è simile: entrambi sfruttano la persistenza e l’imprevedibilità per sovraccaricare l’altro. I bambini cercano attenzione o concessioni; Trump cerca controllo narrativo. In entrambi i casi, l’obiettivo è indebolire la resistenza psicologica. La differenza sta nella consapevolezza: mentre i bambini agiscono per istinto, Trump utilizza l’iperattivismo (pensate alle centinaia di ordini esecutivi che ingolfano i tribunali americani) come tattica calcolata.
Per neutralizzare questa strategia, servono confini chiari. Con i bambini, la coerenza è fondamentale: stabilire regole ferme e non cedere a richieste estorte con capricci. Nel contesto politico, servirebbe la stessa coerenza (ci fosse) ma almeno gli avversari (una volta partners) devono evitare di farsi trascinare in ogni battaglia, concentrandosi su priorità strategiche e comunicazione disciplinata.
In conclusione, la strategia della stanchezza rivela come l’esaurimento delle risorse cognitive sia un terreno di scontro universale. Che sia in famiglia o nella politica, riconoscere queste dinamiche è il primo passo per proteggersi dal logoramento, anche politico ed economico.
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