Memoria e Futuro

La resilienza al governo

di Marco Di Salvo 28 Marzo 2025

Vedo che i quotidiani nazionali si stanno preparando a celebrare la durata dell’attuale governo, mettendolo a confronto con gli altri che sono stati longevi. Ora, premesso che basta scorrere gli anni e ci si rende conto che questa presunta buona salute legata alla durata è stata figlia del sistema elettorale vigente all’epoca di tali governi (solo il Craxi I è meritevole di maggior attenzione in quanto resistette ai tempi del proporzionale), l’idea che la durata di un governo sia indice di capacità e produttività è una semplificazione fuorviante, soprattutto nel contesto italiano, dove l’instabilità politica spesso nasce da dinamiche di coalizione frammentate e non riflette necessariamente l’efficacia di un esecutivo.

Un esempio emblematico è il governo Fanfani del 1962, un esecutivo dalla media durata (poco più di 400 giorni), che, rappresenta un caso studio su come un esecutivo possa essere efficace senza durare l’intera legislatura. Il 1962 fu un anno cruciale per l’Italia, segnato dal quarto governo Fanfani, un periodo di transizione e di importanti cambiamenti politici e sociali. Amintore Fanfani, leader della Democrazia Cristiana, si trovò a guidare un esecutivo che cercava di aprire la strada a nuove alleanze politiche, in particolare con il Partito Socialista Italiano (PSI).

Quel governo fu un tentativo di superare le rigide divisioni della Guerra Fredda e di avviare un dialogo con le forze di sinistra, in un’epoca in cui il centro-sinistra iniziava a farsi strada. Fanfani, con la sua abilità politica, cercò di mediare tra le diverse anime della DC e di creare un ponte con il PSI, aprendo la strada a riforme sociali e economiche.

Tuttavia, il governo Fanfani IV dovette affrontare anche sfide significative, come la crisi economica e le tensioni politiche interne. La sua azione fu caratterizzata dal più grande tentativo di modernizzazione del Paese, con nazionalizzazioni e riforme che furono apripista dei successivi sviluppi sociali ed economici del paese.

Al contrario, governi di più lunga durata, come quelli di Berlusconi (2001-2005 e 2008-2011) o Renzi (2014-2016), pur avendo avuto tempo per agire, hanno spesso lasciato eredità controverse, dimostrando che la longevità non garantisce risultati strutturali.

I governi più longevi della Repubblica, come il Berlusconi II (1.412 giorni) o il Renzi (1.024 giorni), hanno goduto di maggioranze solide, ma il loro operato è stato spesso criticato per miopia strategica. Il primo, ad esempio, fu caratterizzato da una politica economica basata su sgravi fiscali a breve termine, che contribuirono all’aumento del debito pubblico. Il governo Renzi, pur avviando riforme come il Jobs Act, non riuscì a invertire il declino produttivo italiano, concentrandosi su misure simboliche come l’abolizione del Senato elettivo, poi bocciata dal referendum.

E anche l’attuale esecutivo sembra essere indirizzato verso quella china, fatta di roboanti dichiarazioni riformatrici all’inizio e solo di una resilienza effettiva, atta esclusivamente a prolungarne la vita.

Io, memore del detto siciliano “calati juncu ca passa la china”, non sono un grande fan della resilienza, anche perché essa spesso implica un adattamento passivo, una sorta di accettazione dello status quo. E non dovrebbe apprezzarla neanche la presidente del consiglio, a meno che non sia già entrata nella logica della sopravvivenza a tutti i costi.

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