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Memoria e Futuro
La parola e il suono
Nell’era digitale, il linguaggio sta subendo una rivoluzione silenziosa. Le parole, un tempo portatrici di significato preciso, sono sempre più apprezzate per il loro fascino sonoro piuttosto che per le loro definizioni. Questo cambiamento riflette un panorama comunicativo in cui emozione, ritmo e viralità spesso prevalgono su chiarezza e profondità.
In realtà questa “rivoluzione” nasce da lontano, almeno per quanto riguarda il nostro paese. La radiofonia privata prima e alcuni anchorman televisivi poi hanno trasformato l’uso delle parole prediligendo il ritmo al contenuto, lasciando se stessi e gli ascoltatori senza fiato, e spesso senza senso compiuto. Fermarsi per un attimo ad ascoltare con attenzione alcuni monologhi di questi professionisti della comunicazione dà la profonda impressione che viviamo in un contesto di parole in libertà, spesso collegate tra loro solo dal ritmo. E’ tutto un uso di frasi retoriche spesso scollegate dalle notizie, di termini comuni (alla comunità di giornalisti di cui si fa parte) sparsi qua e là a mo’ di condimento. Gli appelli accorati diventano accalorati, le escalation dei rapporti mancano di aggettivazioni (e quindi non si capisce in che direzione vadano, se positiva o negativa) e via così.
Certo, anche piattaforme come TikTok, Twitter e Instagram ci mettono del loro dando priorità alla brevità e al coinvolgimento, premiando le frasi che “suonano bene” rispetto a quelle che trasmettono sfumature. Hashtag, meme e slogan virali prosperano grazie all’orecchiabilità fonetica: pensiamo a “LOL” o “OK Boomer”. Questi termini si diffondono non per la loro ricchezza semantica, ma per il loro impatto ritmico, spesso amplificato da algoritmi che favoriscono i contenuti condivisibili. Persino la retorica politica si basa sulla cadenza e sulla ripetizione (“Build the Wall” della prima era trumpiana o “Prima gli italiani” del “capitano” Salvini) per evocare reazioni viscerali, mettendo da parte complesse discussioni politiche.
Linguisticamente, le parole si stanno sganciando dai significati originali. Ade esempio, per molti commentatori “Letteralmente” ora intensifica l’iperbole, non la fattualità. Questa tendenza rispecchia le tradizioni orali in cui il suono e il ritmo aiutavano la memoria, ma con una svolta: la viralità digitale richiede un impatto emotivo immediato. L’ascesa di ASMR, podcast e note vocali sottolinea ulteriormente la nostra fissazione per l’estetica uditiva. Nel passaggio dalle telefonate ai messaggi vocali c’è il passaggio da una comunicazione dialogica a una fatta di monologhi preconfezionati. La perdita della spontaneità nella comunicazione alza le barriere tra gli individui e non solo.
Le conseguenze si vedono attorno, questa sovraattenzione sonora ottiene il risultato di diluire il dialogo significativo. I malintesi proliferano quando il contesto viene spogliato e la sostanza viene sacrificata per lo stile. Relazioni, politica e istruzione intorno a noi soffrono il fatto che la comunicazione diventa più superficiale.
Inutile da sottolineare, il linguaggio nel corso dei secoli si è sempre modificato, ma la vera sfida contemporanea sta nel riuscire ad equilibrare suono e significato. Mentre l’attrattiva fonetica ci collega emotivamente, preservare la precisione linguistica rimane vitale per il pensiero critico che, come si vede in questi anni, è il vero sconfitto della perdita di senso e di relazione nella comunicazione.
Forse il futuro risiede nell’espressione ibrida, in cui le parole risuonano sia nell’orecchio che nella mente, sposando il potere primordiale del suono con la chiarezza dell’intento. In un mondo affamato sia di connessione che di verità, trovare questo equilibrio diventa non solo una necessità linguistica, ma culturale.
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