Memoria e Futuro

La lumaca Sistina

di Marco Di Salvo 28 Aprile 2025

Sarà interessante vedere come reagiranno media e social in generale, nelle prossime settimane, alla possibile lentezza dello spoglio papale. Mentre infatti il mondo, in occasione delle elezioni, corre a premere “aggiorna” sui risultati elettorali come scoiattoli iperattivi alla ricerca della nocciolina perfetta, la storia del conclave ci ricorda che esiste un’arte antica: l’arte di prendersela “comodissima”. Pensate: se il conclave del 1268-1271 a Viterbo fosse stato un’app, l’avremmo disinstallata per lentezza dopo due minuti. Invece no, ci misero 1006 giorni per eleggere Gregorio X, con tanto di tetto scoperchiato e cardinali a pane e acqua, come se la democrazia fosse un banchetto medievale da gustare a fuoco lento .

Oggi pretendiamo risultati elettorali prima ancora che i seggi chiudano, come se la politica fosse un fast food. Eppure, nel 1314-1316 ci vollero due anni e tre mesi per eleggere un papa, con cardinali divisi tra Avignone e Lione che litigavano come gatti in un sacco, mentre Dante scriveva la Commedia e l’Europa cadeva a pezzi . Il record assoluto? È quello del conclave di Viterbo succitato: 33 mesi di indecisioni, due cardinali morti durante la sede vacante, e un candidato, Filippo Benizi, che scappò in una grotta pur di non diventare papa . Al confronto, un seggio che tarda tre giorni a comunicare i dati è una bagatella.

Se però pensate che la Chiesa sia solo lentezza, vi sbagliate. Ci sono conclavi che hanno fatto sembrare la democrazia moderna una lumaca ubriaca. Qualche esempio. Nell’Ottobre 1503 bastarono 10 ore per eleggere Giulio II, il papa che fondò i Musei Vaticani e commissionò la Cappella Sistina a Michelangelo. Un tempo record, anche raffrontato al 1939 quando Pio XII fu eletto in due giorni con tre scrutini. O al 1978 quando Giovanni Paolo I scelto in 48 ore, tanto quanto serve oggi per fare trend un meme su Twitter.  Ci volle la metà del tempo nel 2005 a fare salire al soglio pontificio Benedetto XVI, più rapido di una consegna Amazon Prime.

Persino il conclave di Wojtyla (1978), considerato “lento” perché durato tre giorni, sarebbe oggi un miracolo di efficienza rispetto a certi conteggi elettorali che finiscono in tribunale .

Il paradosso è che i conclavi più rapidi hanno spesso partorito papi iconici, mentre quelli lunghi hanno insegnato alla Chiesa a non ripetere certi errori (come a rafforzare la validità di un detto siciliano che recita “chiù longa è a pinsata chiù grossa è a minchiata“). Non che siano mancati all’epoca tentativi di ridurre i tempi. Ma come noi sappiamo su certe riforme costituzionali, non sempre c’è modo di fare alla svelta. Gregorio X, dopo i 1006 giorni di Viterbo, introdusse regole per accelerare le elezioni future: segregazione dei cardinali, riduzione del cibo e minaccia di scomunica. Ironia della sorte: per evitare altri secoli di attesa, servì un conclave lunghissimo. Manco si trattasse di una riforma della giustizia o di un premierato.

Oggi, invece, se un exit poll ritarda di mezz’ora è scandalo nazionale (tranne che per le maratone televisive a costo zero). Eppure, mentre i social gridano «Risultati subito!», la storia sussurra: «Pazienza, il dogma non è un sushi da asporto».

Per cui la prossima volta che qualcuno di voi si agita per un seggio che tarda, ricordate che la storia insegna: le decisioni migliori richiedono tempo, un tetto scoperchiato e, magari, un po’ di pane raffermo. Perché, come diceva un anonimo cardinale viterbese: «Se non riesci a decidere in tre anni, almeno avrai scritto un bel diario».

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