Memoria e Futuro
La cinquantunesima stella
A leggere le prime pagine dei quotidiani italiani nell’ultimo mese sembrerebbe che Donald Trump abbia sbagliato i suoi calcoli nel chiedere al Canada di essere il cinquantunesimo stato dell’Unione. Chi, meglio dello stivale (e dei suoi media), che ne sta seguendo spasmodicamente l’azione di governo, merita la candidatura a tale ruolo? Forse neanche le testate degli stati più repubblicani d’America ammorbano i loro lettori con tutte le gesta dell’inquilino della Casa Bianca. Confrontate qualsiasi altra testata europea e lo spazio dato alle mattane del presidente americano e vi renderete conto che solo i nostri quotidiani stanno appesi alle notizie provenienti da Washington. Come se non avessero altro di interessante di cui parlare in prima pagina.
Di certo, l’ascesa di Donald Trump alla Casa Bianca nel 2025 non ha solo riacceso il dibattito politico globale, ma ha anche amplificato la sua presenza sui media italiani, spesso in modo sproporzionato rispetto alla rilevanza diretta per il Paese. Questo fenomeno, definibile come “sovrarappresentazione”, riflette dinamiche complesse che vanno dalle strategie editoriali alla polarizzazione politica, fino alle pressioni del contesto mediatico in trasformazione.
In Italia, nonostante secondo alcuni sondaggi solo il 28% degli intervistati apprezzi la sua presidenza, i quotidiani dedicano ampio spazio alle sue politiche, dai dazi alle relazioni con l’Europa. Questo squilibrio si spiega con la natura sensazionalistica delle sue azioni, che alimentano il dibattito pubblico anche oltreoceano. Il motivo è semplice: i media tradizionali, in crisi di vendite (-6,5% nel 2024), cercano di catturare l’attenzione puntando su personaggi “clickbait” come Trump o Elon Musk . Ma non solo.
La copertura mediatica di Trump è anche legata al suo influsso sulla politica domestica. Il ritorno del leader repubblicano ha scatenato una (patetica) “gara dei sovranisti” nel centrodestra italiano, con figure come Matteo Salvini che imitano retorica e strategie trumpiane, promuovendo slogan come “Make Europe Great Again” . Questo allineamento ideologico spinge i giornali a seguire da vicino le mosse di Washington, presentandole come modello o monito per la scena politica locale. Non a caso, il governo Meloni cerca di posizionarsi come “ponte” tra Stati Uniti e Europa, sfruttando i riflettori mediatici per consolidare la propria immagine internazionale. E provare così ad evitare le conseguenze spiacevoli delle scelte del governo americano.
Un altro fattore è l’impatto concreto delle politiche trumpiane sull’Italia. I dazi annunciati contro l’Ue potrebbero costare al Paese fino a 3,8 miliardi di PIL e 53.600 posti di lavoro, con settori come l’agrifood e l’automotive particolarmente esposti. Questi dati, uniti alla paura di un indebolimento europeo, rendono Trump un argomento inevitabile per i quotidiani, che oscillano tra analisi economiche e allarmismo.
La sovraesposizione di Trump va letta anche nella crisi identitaria dei quotidiani italiani. Mentre i social media dominano l’informazione, i giornali cartacei faticano a competere, aggrappandosi a temi divisivi per giustificare sovvenzioni pubbliche e visibilità politica . La copertura ossessiva di figure come Trump serve a mantenere un’illusione di rilevanza, mascherando la perdita di lettori e l’incapacità di innovare.
Il protagonismo di Trump sui media italiani è dunque un sintomo di diverse malattie della comunicazione tricolore: dalla ricerca di sensazionalismo alla dipendenza da dinamiche globali, passando per l’influenza sulla politica interna. Tuttavia, questo approccio rischia di appiattire il dibattito su logiche polarizzanti, trascurando temi locali e approfondimenti. In un’epoca di disinformazione e frammentazione, i quotidiani dovrebbero bilanciare la copertura internazionale con un’analisi più equilibrata, evitando di trasformare ogni mossa di Trump in un “teatro” mediatico fine a sé stesso. E non fare la fine delle “gazzette della colonia” che sembrano.
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