La Posta del Cigno Nero
L’ attesa tra speranza, timore e desiderio
Caro Cigno Nero,
amo l’attesa, ma ora mi chiedo: è una scelta per non agire?
A. P.
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Caro o cara A. P.,
è insolito l’amore per l’attesa, e come per tutte le cose insolite, vale la pena approfondirlo per vedere che strade ci porta a percorrere.
Fermi sulla banchina guardiamo l’orologio e controlliamo il cartello degli arrivi per assicurarci che il treno sia in orario. Alla stazione ci siamo arrivati con qualche minuto di anticipo per essere lì quando la persona che stiamo aspettando scenderà da quel treno, pronti ad abbracciarla e pieni di gioia nel rivederla.
È la vigilia di Natale. C’è un pacchetto sotto l’albero che ci aspetta. Non abbiamo fretta di aprirlo. Viviamo l’attesa senza impazienza, perché le sorprese sembrano trovarsi in qualche punto fuori dal tempo, nascendo dall’inatteso.
È da tanto che vogliamo prenderci un giorno tutto per noi, libero dagli impegni e dal lavoro, per dedicarci a fare quello che ci piace, ma rimandiamo questo piacere per goderlo al meglio, nel momento più adatto, con la giusta consapevolezza e predisposizione d’animo.
In questi scenari l’attesa sembra essere priva di timore e slegata dalla speranza, concentrata invece sul piacere e su un desiderio che abbiamo la certezza sarà esaudito. Come non amare allora questa dimensione di un tempo privo di impazienza per code infinite o ritardi che ci scombussolano i piani, come pure di timori per scenari nefasti. La speranza qui resta dietro le quinte. Non c’è bisogno di lei. Tutto è predisposto per accadere come deve. Ma non adesso. Sappiamo quando. Il tempo è sospeso ma non indefinito, né infinito. Questa attesa coincide col senso del gusto: ci fa pregustare il momento.
D’altra parte le attese sono tante e diverse. E se è vero che in molti casi il timore – che qualcosa accada o non accada, che un evento si verifichi o meno, che la notizia o le parole che (ci) aspettiamo siano quelle buone -, lo sediamo con la speranza (un condizionamento collettivo e inconscio del cristianesimo), esistono attese che sembrano dipendere dal solo desiderio, come nelle situazioni descritte in precedenza. Sono quelle attese che ricercano il piacere in sé o come assenza di dolore.
Sebbene molti di noi la ricordino per lo spot di un aperitivo, è di Gotthold Ephraim Lessig l’aforisma : ”L’attesa del piacere è essa stessa il piacere”. È l’attesa dunque che fa aumentare e tiene vivo il desiderio. Ma Leopardi porta all’estremo questo concetto mostrandone il lato problematico. Nel Sabato del villaggio i preparativi per la festa sono il pretesto più per una riflessione filosofica che per un’immagine poetica: la gioia è solo nell’attesa, assediata dal timore dell’inevitabile precarietà del tutto. Come ogni altra gioia non durerà, passerà una volta passata la festa. Sembra così che non solo bruciare le tappe ma anche rimandare i piaceri non ci assicuri un “per sempre felici e contenti”.
Timore, speranza e desiderio restano insomma le componenti di ogni attesa, che si intrecciano in un tempo sospeso dando vita a trame e narrazioni differenti ma accomunate da un finale che ci mette in scacco.
Ora, che tipo di attesa è quella che dici di amare ma che allo stesso tempo ti fa sorgere il dubbio che non sia altro che un pretesto per non agire?Rimandare ad oltranza l’azione, una decisione così come un gesto o una parola, non mette solo l’Altro – chi ci sta idealmente di fronte – nella condizione di attesa, ma anche noi stessi. In altre parole, in questa prospettiva tu attendi ma senza essere in attesa di qualcosa (di risposte, di una notizia, di un risultato, di qualcuno o qualcosa). È forse questa la ragione per cui nell’attesa ci stai bene?
Che ne è allora della responsabilità delle nostre scelte, che, in fin dei conti, coincidono col nostro agire? Che ne è del nostro essere responsabili dell’Altro, comunque lo si concepisca, come ci invita a riflettere Lévinas?
Torniamo per un momento al particolare legame tra attesa e desiderio.
Il desiderio è sempre caratterizzato da una tensione verso qualcosa che ci trascende. Desiderando ci muoviamo, anche solo idealmente, nella direzione di un volere. Il desiderio tuttavia, per definizione, può esistere finché c’è ancora qualcosa da desiderare. Pertanto, paradossalmente, esiste finché non viene soddisfatto. E quale migliore alleato di un desiderio che non muore mai se non un’attesa senza fine? Non sarà forse che, paralizzati dagli eventi che non dipendono da noi, preferiamo rifugiarci nell’immobilità di un attendere che ci illudiamo possa mettere in stand by il tempo, e con lui la responsabilità delle nostre decisioni e degli effetti cui potrebbero portare?
Ma un’attesa senza fine non rischia così di diventare un’attesa senza un fine?
A proposito di insolito, il Tenente Colombo può fornirci un interessante punto di vista sull’attesa. Ogni episodio della serie ha una struttura narrativa capovolta: fin dall’inizio, dell’omicidio conosciamo autore, modo e movente. Non sembra esserci nulla da scoprire e perciò nulla da attendere. Ma qui la parte interessante della storia è come Colombo arriva a scoprire quello che noi già sappiamo. Può essere allora che il bello non stia soltanto in ciò che non è ancora accaduto?
Maria Luisa Petruccelli
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Per scrivere al Cigno Nero: lapostadelcignonero@gmail.com
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