
Memoria e Futuro
Il ciuffo (arancione) dell’avvocato del popolo
Chissà se un pensierino gli è venuto, a Giuseppe Conte, guardando dal palco l’immensa folla che arringava sabato pomeriggio, di fare un assalto ai palazzi del potere romano stile Capitol Hill. Perché gli sarebbe mancato solo questo per suggellare la sua trasformazione da volto nella folla a novello Donald Trump nostrano. In fondo, con le dovute differenze culturali e storiche molte cose li hanno accomunati in questi anni passati: la rabbia per essere stato disarcionato dalla guida del governo c’era, la conquista di un partito preesistente a lui pure, l’ammiccare ai desiderata dei despoti mondiali (cinesi o russi che siano) anche, la campagna elettorale a base di “gratuitamente” e ricordi di bonus passati indimenticabile e l’aspirazione al ritorno a stare dove si conta e non nell’asfittica opposizione pure. Purtroppo, la sua era una folla pacifica (almeno a parole e finora) e quindi per “Giuseppi” il tempo del putsch non è ancora giunto.
E, mentre l’Europa si chiede come sopravvivere alla combo Meloni-Orban-Musk-Putin-Trump, e altri scelgono di invitare Mr.Tesla in uscita dalla Casa Bianca al proprio congresso (con lo stesso tempismo con cui augurano la vittoria via social alla squadra del cuore poco prima di una disastrosa sconfitta), l’ex premier Giuseppe Conte ha deciso di riscrivere il manuale del populismo made in Italy con una performance da far invidia a Donald Trump. Dopo la manifestazione anti-riarmo di sabato a Roma, Conte non solo ha piantato “un pilastro per costruire un’alternativa” (che somigliava più ad un paletto al cuore per quella in via di lentissima costruzione da parte di PD e soci), ma ha anche dimostrato di avere un talento innato per il reality politics, stile Mar-a-Lago, ma con più accento meridionale e meno dorature.
Proprio come Trump con la cerimonia d’insediamento del 2017, Conte ha rivendicato una partecipazione da record: “Siamo centomila!”, ha annunciato, ignorando delicatamente i calcoli dei fact-checker e gli articoli di Repubblica che invitavano a “stare alla larga” . Comunque sia andata, è stato un successo, certificato, a differenza di Trump, non da cappellini rossi (né da Cappellini editorialisti), ma da striscioni come “Mettete Meloni nei vostri cannoni”, perché non si dica che la fantasia italiana non batta sempre il MAGA in creatività.
Poi c’è un’altra cosa che unisce l’allievo al maestro. Se Trump aveva la sua ossessione per la CNN, Conte ha elevato il livore contro Repubblica a arte suprema. Secondo lui, il quotidiano avrebbe “sponsorizzato la piazza della guerra” , un complotto degno di QAnon, ma con un tocco da caffè espresso. I sostenitori, intanto, twittano (ops, postano su Facebook) che “l’informazione è un cancro” , dimostrando che il populismo non ha confini linguistici, solo nemici da hashtaggare. Naturalmente si tratta di nemici di carta (letteralmente e simbolicamente) visto lo stato di sofferta sopravvivenza del quotidiano che fu di Eugenio Scalfari e che ora si dibatte, anche senza gli strali di Conte, in una crisi senza fine.
Il rapporto con Trump non finisce qui. Mentre Donald aveva i suoi meme su Truth Social e chiacchierava amabilmente con i giganti (dal punto di vista dei numeri) dei podcast americani, Conte ha scoperto il potere delle TikToker napoletane. Rita De Crescenzo, influencer con un passato da soap opera camorristica, è stata la star del corteo, dimostrando che per mobilitare le masse odierne servono più like che programmi elettorali e che le manifestazioni di oggi sono più simili alle scampagnate che a proteste degne di finire ritratte da Pellizza da Volpedo. Conte, da buon Trump nostrano, sa che un video virale vale più di un discorso alla Camera: “Metti una fascia in fronte e scendi in campo” potrebbe diventare il nuovo “Make Italy Great Again”.
Per quanto riguarda i nemici, dove Trump aveva i globalisti, satanisti e, ovviamente, i leader del partito democratico, Conte si deve accontentare di Meloni, Calenda e “l’UE guerrafondaia”. Vorrebbe poter dire anche altri nomi, ma non si espone, perché non si sa mai. Il leader M5S anzi ha ringraziato persino chi “non la pensa come noi” , un gesto magnanimo che ricorda quando Trump invitava i democratici al suo comizio… per poi farli fischiare. Intanto, il PD è corso in piazza a fare da comparsa, perché in politica oggi l’importante è non restare fuori dall’inquadratura, anche se si è in disaccordo su (quasi) tutto.
Ad onor del vero, c’è da dire che i due non sono d’accordo su tutto. Conte ha criticato il video condiviso dal tycoon su “Gaza trasformata in una Miami mediorientale”, definendolo “allucinante”. Ironia della sorte, però, entrambi condividono la stessa strategia: usare immagini shock per polarizzare il dibattito. E mentre l’uno sogna di rivoluzionare l’economia mondiale a colpi di formule strampalate, l’altro urla “Meloni e Crosetto, toglietevi l’elmetto!”, perché, si sa, in Italia la retorica anti-guerra un tanto al chilo funziona meglio dell’economia, in politica.
L’avvocato del popolo potrebbe non avere un jet dorato né una villa in Florida, ma ha capito che nel 2025 la politica è un mix tra un comizio e una stories su Instagram. E se Trump ha i suoi deplorables (Hillary Clinton docet), Conte ha i redivivi pentastellati, di cui sta recuperando anche l’attitudine a credere ad ogni fregnaccia: entrambi sanno che, in fondo, basta un video su TikTok, un tweet (o un post su Facebook) per accendere la piazza… e magari farci costruire un muretto a secco di slogan pieni di contenuto, come questo che offriamo per la campagna elettorale prossima ventura. Conte2027: perché no?
I 5stelle sono una disgrazia nazionale che ha iniettato populismo e permesso alla lega di sdoganare la sua propaganda intollerante fatta di slogan e meme.
Da potenziale forza rinnovatrice a pessimi in poco tempo.