Memoria e Futuro
Il buen retiro
Quant’era bella Milano quand’era, come si diceva? Ah sì, “Capitale Morale” d’Italia. Questa definizione, che non so quanti dei più giovani hanno sentito, risale all’Ottocento post Unità d’Italia, e sottolineava il ruolo di Milano come guida culturale e intellettuale del paese, grazie alla sua vivace scena artistica, letteraria e scientifica. La città era un importante centro di produzione di idee e di dibattito politico, in contrapposizione alla capitale politica, Torino, considerata più legata alla tradizione e al potere aristocratico.
Nel corso del Novecento, l’espressione fu stata ripresa in diversi momenti storici, spesso con accezioni diverse. Durante la Resistenza, ad esempio, Milano ha assunto un ruolo centrale nella lotta al nazifascismo, diventando simbolo di coraggio e di resistenza morale. Ma anche negli anni ’80, in cui il “morale” cominciava a scarseggiare, l’appellativo era comunque utilizzato la sua capacità (forse residua) di trainare lo sviluppo economico e sociale del paese, diventando un modello di efficienza e modernità.
Fino agli anni Dieci di questo secolo si è fatto a gara per andare a viverci per lavorare e sperimentare l’efficienza meneghina. Poi, sotto i cantieri dell’espansione futuristica dello skyline, si cominciò a sentire qualche scricchiolio. Ultimo exploit, l’Expo (gioco di parole non voluto). E come in tutte le città mondiali che hanno avuto questo tipo di megaeventi, qualche tempo dopo , il tracollo. Chi lavora ancora a Milano, lavora per vivere (e vive nei dintorni, spesso a più di un’ora di distanza). Le periferie sono un ribollire di tensione ancora per poco nascosta, una futura lotta di classe che, per educazione, non chiamiamo così. E si prova a mettere una pezza ai problemi con un decreto dal nome (volutamente?) simile a certi calambour un po’ sconci da scuola media. Uno scenario da film horror, per la città e non solo.
E quando si pensa che il quadro non possa essere più fosco di così non è ancora finita perché, ogni due per tre, l’attuale responsabile nazionale dei lavori pubblici e dei trasporti, carico degli onori dovuti al suo ottimo record, lancia battutine relative ad un suo futuro impegno come sindaco della città. Non subito ma, come dice lui, “a fine carriera”. Una sorta di prepensionamento, va’. Un po’ come faceva la Regione Sicilia nei primi anni dei suoi uffici a Bruxelles vicini al Parlamento Europeo quando, non sapendo chi mandare, mandava i dirigenti a fine carriera, mentre spagnoli e portoghesi mandavano i neolaureati, a fare lobbying. Loro pensavano al futuro, noi a complimentare dirigenti fedeli. Ma chi se lo merita, lui, come sindaco?
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