
Memoria e Futuro
I tribunali della storia
Qualora non fossero stati abbastanza sconfitti dalla storia, ogni tanto c’è qualche tribunale italiano che si prende la briga di rimettersi a scrivere altri pezzi di storia degli anni settanta cercando i colpevoli di reati compiuti svariati decenni fa, con gli strumenti inadeguati che conosciamo anche per la contemporaneità. È il caso del processo iniziato ieri in Piemonte e che vede sfilare ottuagenari che confessano reati commessi in un’altra vita ed altri che vengono trascinati da solerti procuratori in vicende in cui non hanno alcuna responsabilità, né soggettiva né oggettiva.
Si sa, la storia non è solo un racconto del passato, ma un campo di battaglia in cui si confrontano memorie, identità e potere. In questo contesto, i tribunali – nazionali e internazionali – assumono un ruolo sempre più centrale nel tentativo di “correggere” o ridefinire la narrazione storica. Attraverso sentenze, condanne e riconoscimenti ufficiali, la giustizia diventa uno strumento per legittimare versioni specifiche degli eventi, a volte con il giusto obiettivo di contrastare il negazionismo e riparare torti collettivi. Tuttavia, questo processo solleva domande complesse: fino a che punto il diritto può plasmare la storia? E quali sono i rischi di una giuridificazione della memoria?
I tribunali possono essere agenti di verità, specialmente in società divise, dove il negazionismo minaccia la coesione sociale. Tuttavia, la storia non può essere ridotta a un elenco di crimini accertati in aula. La giustizia deve accompagnarsi a politiche educative, dibattiti pubblici e iniziative di riconciliazione. Come ricordato dallo storico Timothy Garton Ash, “il diritto può aprire la strada, ma non può sostituire il lavoro più faticoso della costruzione di una memoria condivisa”. E su questo il nostro paese è dolorosamente indietro, in questa come in altre vicende.
In questo equilibrio tra legge e storia, tra giudizi e coscienze, si gioca il futuro della nostra comprensione del passato.
Ma non è il caso della vicenda di cui parliamo, che sembra piuttosto un modo per vendicarsi in ritardo e stabilire verità di stato. Su altre vicende, a partire dagli scontri a fuoco nei covi brigatisti, fino alle torture di stato in carcere, non c’è stata (e immaginiamo non ci sarà) la stessa sollecitudine.
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