Memoria e Futuro

Gli occhi della madre

di Marco Di Salvo 8 Aprile 2025

Le vicende di due delitti avvenuti nell’ultima settimana portano alla luce il ruolo delle madri degli autori degli stessi, come figure rilevanti e, forse, specchio di un perverso rapporto genitoriale, almeno  in termini di eccesso di protezione.

Di per sé, quello del ruolo delle madri degli autori di femminicidio in Italia rappresenta un tema complesso e doloroso, che interseca dinamiche familiari, culturali e giuridiche. In contesti di violenza di genere, queste figure possono emergere come complici passive, protettrici inconsapevoli o persino come vittime di un sistema patriarcale radicato.

Il caso di Terni o, più in piccolo, quello di Messina (nel quale la madre, pur non partecipando attivamente all’occultamento del cadavere come nel primo caso, si precipita da una città all’altra della Sicilia appena chiamata dal figlio in evidente, ma non esplicitata nella sua gravità, crisi personale)  sollevano interrogativi sul ruolo attivo di alcune madri nel proteggere i figli autori di crimini, spesso giustificandoli o minimizzando le loro azioni.

Le radici di tali comportamenti affondano probabilmente in quella cultura patriarcale che, oltre a normalizzare la violenza contro le donne e legittimare il controllo maschile, rende proprio le donne vessillifere di questi valori e prime a rivendicare il loro ruolo di protettrici del (dis)ordine costituito. In questi contesto, alcune madri interiorizzano stereotipi di genere, riproducendo e trasmettendo ai figli modelli relazionali tossici.

Spesso le madri degli autori di femminicidi agiscono mosse da un istinto di protezione distorto, occultando e negando a se stesse la gravità delle azioni dei figli. Questo diniego può derivare da un senso di colpa (“dove ho sbagliato?”) o dalla paura dello stigma sociale. In alcuni casi, come sottolineato dall’Osservatorio sulla violenza contro le donne, l’inerzia delle istituzioni nel contrastare la violenza domestica contribuisce a normalizzare comportamenti aggressivi, creando un circolo vizioso in cui le famiglie si sentono autorizzate a coprire i crimini .

 La giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti Umani ha più volte condannato l’Italia per la mancata protezione delle vittime di violenza domestica, evidenziando ritardi nell’adozione di misure efficaci e valutazioni superficiali del rischio. Questo fallimento sistemico può influenzare anche le madri degli aggressori, che, in assenza di un supporto istituzionale, scelgono di proteggere i figli anziché denunciarli. La mancata formazione degli operatori sociali e giudiziari aggrava il problema, lasciando le famiglie sole ad affrontare situazioni estreme.

Di certo, queste ultime vicende, come altri casi in passato, dimostrano come spesso siano proprio le madri degli autori di femminicidi a essere vittime (secondarie) delle contraddizioni di un Paese in cui il patriarcato resiste, anche se non soprattutto, grazie a loro.

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